La parte occidentale di Mazzorbo
La parte “occidentale” dell’isola di mazzorbo era anticamente divisa in tre parrocchie: S. Michele Arcangelo, Santo Stefano protomartire e Ss. Cosma e Damiano [1] . Di esse oggi non ci resta che il campanile della chiesa di S. Michele Arcangelo.
La chiesa parrocchiale di S. Stefano (S. Steno), che si trovava molto vicina alla attuale parrocchia di S. Caterina, fu la prima ad essere soppressa già nel 1393. Seguì la parrocchia dei Ss. Cosma e Damiano – che doveva trovarsi dove la attuale fondamenta di S. Caterina gira e inizia a costeggiare il canale di Mazzorbo – che fu anch’essa soppressa nel 1449 [2] a causa della povertà dei parrocchiani che a stento potevano permettersi il mantenimento di tali spese.
Rimase la parrocchia di S. Miche Arcangelo che per nove anni, dopo la soppressione della parrocchia orientale di S. Pietro del 1810, divenne unica parrocchia di Mazzorbo, fino a quando fu sostituita da quella conventuale di S. Caterina, come si dirà più dettagliatamente nelle pagine seguenti.
Per queste ragioni S. Caterina assunse per un certo periodo anche il titolo doppio dei Santi Caterina e Michele, che venne mutato in S. Pietro e S. Caterina di Mazzorbo, come risulta anche da alcuni documenti del 1929 [3] . Infine – oramai dimentica del suo passato – assume ora il semplice titolo di S. Caterina.
Parrocchia di S. Michele Arcangelo o Sant’Angelo
La Chiesa si trovava nell’area che attualmente viene adibita a giardino pubblico, immediatamente vicino all’antico campanile che ora svetta solitario ed anche un po’ malconcio, a sinistra del canale venendo da Torcello.
La incisione di Tironi e Sandi ci mostra la vita operosa di questi luoghi, i numerosi edifici, le case, i camini e a sinistra il bel campanile dalla originale cuspide sfaccettata in sei lati.
Dalla lettura di questa stampa
ricaviamo una immagine di Mazzorbo che, ancora nel settecento, fa bella mostra
di sé, riuscendo a nascondere fra le pieghe di codeste venerande testimonianze
di antico centro religioso, una lenta ma progressiva decadenza che la stava
minando
[4]
.
Nel 1747 – ci ricorda infatti
il Corner – alcuni nobili veneziani, riunitisi in Confraternita, fortunatamente
intervennero con “nuovi abbellimenti e decenti sacre suppellettili” per
salvare questa antica chiesa
[5]
, di cui si ricordano gli altari di S. Carlo e della B.V.M.
oltre che i sedili lignei del presbiterio
[6]
e la tavola, divisa in comparti, dell’altar maggiore con
il “Padre Eterno, Cristo morto e diversi Santi” che il Boschini attribuisce
alla Scuola del Vivarini
[7]
.
Per quanto concerne la fondazione
di questa parrocchia non esistono notizie sicure, essa viene ritenuta molto
antica, così almeno la definisce un documento dell’Ufficio della
Direzione dell’I.R. Demanio Provinciale del 1818
[8]
.
Di sicura datazione sono invece
le campane che lo storico Meschini nel 1815 scopriva sul campanile di S. Angelo,
quando volendo osservare dall’alto la laguna, salì sul campanile e con sorpresa
si accorse dell’antichità delle due campane: una del maestro Lucas del 1318
e l’altra del maestro Gerolamo di Giacomo Morando del 1567
[9]
: scopriremo più avanti che sono le stesse che ora si trovano
sul campanile di S. Caterina.
Il 13 agosto 1819 il sig.
Antonio Dinon, delegato per la Deputazione Comunale di Burano, fece domanda
al Regno Lombardo Veneto che: “visto lo stato di deizione e di ristrettezze
in cui si trova la Chiesa Parrocchiale di S. Angelo, si concedesse in cambio
la Chiesa che serviva una volta al Convento di Santa Caterina”.
E ciò fu concesso a patto che, fatta la stima dei materiali delle due chiese, il Comune di Burano versasse alla Cassa del Monte dello Stato la differenza di L. 2140,984=.
Sicché, in seguito a ciò, la Chiesa di S. Angelo venne abbattuta, anzi il Sig. Dinon, deputato della Comune di Burano (sindaco), fece ancora domanda all’I.R. Demanio affinché si lasciasse intatta dalla demolizione la piccola parte che entra nel Cimitero, cioè il ristretto luogo della Sacrestia e parte della Cappella dell’altar maggiore [10] ; e fu anche questo concesso.
Monastero e chiesa di Santa Maria di Valverde
Il 15 novembre 1281 Egidio Vescovo di Torcello solennemente segnò il decreto di concessione a tre monache partite dal monastero di Santa Caterina a Chioggia: - Margherita priora, Beatrice ed Odorica monache cistercensi – di un terreno sacro appartenuto a Leone Berengo di Mazzorbo e poi a Giovanni Mudacio sito nel fondo dei Ss. Cosma e Damiano.
Nel 1333 passarono sotto la regola di San benedetto in quanto in quegli anni il posto di abbadessa fu occupato da una religiosa chiamata Tomasina Morosini proveniente dal monastero benedettino di Sant’Antonio di Costanziaco.
Secondo alcune fonti [12] , fu abbadessa di s. Maria Valverde Anna Michiel, e madre della Nobil Donna Bortoletta, a torto ritenuta quest’ultima la fondatrice di S. Caterina. Si tratta di un equivoco sorto per la omonimia con l’altro monastero di S. Caterina di Venezia di monache agostiniane.
La piccola chiesa annessa al monastero era disadorna ma ricca di numerose reliquie fra cui quelle della Ss. Croce e di San Leonardo, che era contitolare della Chiesa.
Ancora nel 1784 il monastero doveva essere abitato; così risulta da una lettera del Vescovo di Torcello Paolo da Ponte che il 2 dicembre autorizzava le monache alla riduzione dell’obbligo di alcune mansionarie [13] che il monastero non riusciva a rispettare per le gravi ristrettezze in cui versava [14] .
La chiesa e il monastero subirono gli effetti negativi prodotti dal decreto del Senato del 12 sett. 1768 di cui si è già scritto per il monastero di S. Eufemia e con il quale si ordinava la soppressione di alcuni monasteri [15] .
Verso la fine della Repubblica (1797) il monastero e la chiesa furono soppresse e con il passare degli anni non rimase più nulla [16] .
Il fondo passò al Demanio militare e proprio con questa sacca demaniale di Val Verde si risarcirono i proprietari del terreno su sui venne scavato il canale nuovo di S. Margherita nell’altra isola di Mazzorbo ove c’era il monastero di S. Maffio [17]
Chiesa di Santa Maria delle Grazie
La Comunità di Mazzorbo, martoriata dalla terribile peste del 1630, per implorare m misericordia e salvezza alla Madonna promise la costruzione di una chiesa nell’isola, così come il Senato aveva decretato per Venezia l’erezione di una magnifica chiesa in onore della Beata Vergine della Salute.
Fu infatti costruita una piccola chiesa cui fu imposto il titolo di Santa Maria delle Grazie, forse in memoria di un’altra più antica oramai distrutta, già eretta nell’isola con lo stesso nome. La Chiesa era situata nella sponda opposta alla Chiesa del monastero di Santa Caterina, così come ci fa vedere il disegno di G. Guardi.
Dopo un primo periodo in cui questa nuova Chiesa fu affidata a dei singoli procuratori, nell’anno 1689 fu consegnata a due sorelle Elisabetta e Francesca Coi di Brescia le quali vi fondarono accanto un piccolo monastero per “Vergini donzelle” che decidessero di vivervi in povertà sotto la regola di San Francesco; ed in breve il numero di queste Vergini aumentò e furono volgarmente chiamate Eremite Cappuccine di Mazzorbo.
Nel giorno di San Rocco, a perpetua memoria della liberazione dalla peste, la Comunità di Mazzorbo si recava in processione a far visita devozionale alla Chiesa di S. Maria delle Grazie [18]
Con la soppressione napoleonica del 1806, le monache furono congiunte con le Cappuccine di S. Maria Concetta di Castello e gli edifici abbandonati perirono.
E’sorprendente il numero dei dipinti che il Delegato della Corona per la scelta degli oggetti di Belle Arti, Pietro Edwards, elencò in questo monastero: ben 150 dipinti fra cui un quadro di Nicolò Renieri che fu il solo scelto – “purché ne fosse tagliata la parte superiore” – e del quale oggi non si ha traccia (cfr. P.L. FANTELLI, Nicolò Renieri) [19] . Inoltre “una tavola del Litterini”, come riferisce lo Zanetti, posta sopra l’altar maggiore e “una tavola di Pietro Vecchia” [20] . Sembra che l’Edwards fosse al lavoro in questo convento proprio il giorno di Natale dell’anno 1807 [21] .
A 750 metri dalla punta di S. Caterina, a sud-ovest di Mazzorbo, sorge un’isola conosciuta oggi con il nome di S. Maria del Rosario o del Monte [22] .
In essa nel 1303 fu fondato un monastero di monache benedettine dedicato a S. Nicolò, che non ebbe grande fortuna tant’è che il Vescovo di Torcello Filippo Paruta nel 1432 lo unì al monastero di S. Caterina di Mazzorbo.
Ciò non di meno l’isola fu abbandonata ed il chiostro e la Chiesa rovinarono poco a poco. Finalmente nel 1712 un pio uomo di nome Pietro Tabacco, ottenuta l’autorizzazione dalle monache di S. Caterina, riedificò la chiesa dedicandola alla Madonna del Rosario ed istituendovi anche una Confraternita di devoti [23] .
Quando nel 1806 fu soppresso il monastero di S. Caterina, anche l’isola passò al Demanio e fu trasformata ad usi militari, così che oggi non restano di quegli antichi edifici che due piccole isolette deserte e corrose dall’acqua. In quel periodo gli edifici conventuali delle isole lagunari furono spogliati dei quadri, arredi e suppellettili, e assieme alle chiese annesse, raramente si salvarono dall’inesorabile piccone militare, che senza eccessive preoccupazioni li distrusse dalle fondamenta; di essi soltanto San Francesco del Deserto si salverà [24]
[1] F. CORNER, op. cit., pag. 590.
[2] V. PIVA, op. cit., I, pag. 201; E. PAOLETTI, Il fiore di Venezia, Venezia 1837-40, pag.126.
[3] Archivio Parrocchiale di S. Caterina di Mazzorbo.
[4] Un inesorabile processo di decadenza e spopolamento che parte dalla fine del XIV secolo culminerà nel 1659 con l’abbandono del vescovo della Diocesi di Torcello, che trasferirà la sede vescovile a Murano dove resterà fino al 1814 quando sarà concentrata nella sede patriarcale di Venezia. Don Camozzo nelle sue memorie: “…si capisce che ancora dal principio del 1799 non doveva esservi a Mazzorbo (e anche si può dire dal 1400 secondo i registri parrocchiali) tanta popolazione sebbene vi fossero due parrocchie simultanee, e ciò perché in ogni parrocchia risulta un numero di 4 o 5 nati in media ll’anno”.
La causa principale, che generalmente viene addotta di questa decadenza, è la malaria, ma io ritengo che la malaria sia stata la conseguenza, più che la causa, di un preesistente e progressivo abbandono di queste isole, dove fu senz’altro determinante lo spostamento nelle isole realtine del fulcro politico-economico che fino al Mille apparteneva a questo grande Emporio della laguna nord-orientale.
La ridotta vigilanza dei monasteri nella cura delle acque che erano loro affidate, la lenta corrosione delle sponde dei canali non più difesi dalle palizzate, i detriti depositati dai fiumi, gli interramenti, avranno facilmente ragione su questi lidi indifesi, cui nulla valsero i tardivi interventi del Senato che nel 1659 e nel 1690 inviò i Provveditori al Comun per porvi rimedio (V. PIVA, op. cit., pag. 200). Fra le acque e la mota trasportata dai numerosi fiumi, si creerà un “habitat” ideale alla proliferazione della zanzara portatrice di malaria che in alterni periodi tante sofferenze e lutti portò fra la popolazione lagunare.
[5] F: CORNER, op. cit., pag. 590.
[6] A.C.P. Venezia, Diocesi di Torcello, v. p. VIANOLI 1682.
[7] M. BOSCHINI, op. cit., pag. 547; A.M. ZANETTI, op. cit., pag. 460.
[8] Il 27 giugno 1818, in una copia di una “informazione dell’attuale chiesa parrocchiale della Comune di Mazzorbo”stesa dall’ufficio sopra citato, si annotava che tale chiesa parrocchiale fosse di antichissima costruzione, e vicina ad un vecchio monastero soppresso (si tratta del monastero della Valverde soppresso nel 1768). Notizia tratta dal manoscritto di don G. Camozzo.
[9] G.A. MOSCHINI, Guida per la città di Venezia all’amico delle Belle Arti, Venezia 1815, vol. II, pag. 447.
[10] Dal manoscritto di don Camozzo.
[11] Nell’Isolario di V. Coronelli (1696), frate della ca’ Granda dei Frari, si ricava che quel luogo era stato consacrato ancora prima e si dice che il monastero e la chiesa di S. Maria in Valverde furono fondati nel 932 dalla famiglia Banari. (V. CORONELLI, Isolario dell’Atlante Veneto, Venezia 1696, I, pag. 32).
[12] Fra le quali una scritta apocrifa contenuta nella busta n.1 del fondo di S. Caterina di Mazzorbo all’A.s.v.
[13] Con questo nome venivano indicate quelle messe che, sotto compenso, venivano perpetuamente celebrate a memoria di qualche defunto che così avesse disposto nel testamento. Mansionarie perché appunto manebant cioè duaravano nei tempi futuri. (G.B. GALLICCIOLLI, Delle memorie venete …, Venezia 1795, lib.2°, cap. III).
[14] A.S.V., S. Caterina di M.bo, busta n.1.
[15] V. PIVA, op. cit., pag. 205
[16] E. PAOLETTI, op. cit., I, pag. 127.
[17] Dal carteggio conservato nell’Archivio parrocchiale fra il parroco don Giuseppe Merli ed il Ministero delle Finanze.
[18] F. CORNER, op. cit., pag. 599.
[19] P.L. FANTELLI, Nicolò Renieri “Pittor fiamengo”, in “Saggi e Memorie di Storia dell’Arte”, 1974, n.9.
[20] A.M. ZANETTI, op. cit., pag. 460.
[21] A. ZORZI, Venezia scomparsa, Venezia 1977, I, pag. 107.
[22] Nella visita pastorale del vescovo Diedo del 1736, quando si parla del quadro raffigurante S. Nicolò, si dice che anticamente con il titolo di questo santo veniva chiamato il monastero che si trovava in quest’isola fino a quando fu eretta la chiesa del Santissimo Rosario che ne cambiò, appunto, il nome.
[23] F. CORNER, op. cit., pag. 598.
[24] In quel periodo molti edifici religiosi furono adibiti a caserme, magazzini, polveriere, fortini, prigioni, stalle, palestre, scuole e così le stupende isole di San Secondo, Santo Spirito, San Giorgio in Alga, S. Francesco del Deserto, San Giacomo in Paluo, S. Maria delle Grazie, Sant’Andrea della Certosa, servirono ai più svariati usi militari, (cfr. A. ZORZI, op.cit., pag. 78). Salvato dalla demolizione, il convento di S. Francesco del Deserto fu restituito nel dicembre del 1856 alla Autorità Ecclesiastica; il patriarca Pietro Aurelio Mutti ne cedette l’uso perpetuo all’Ordine francescano dei Minori Riformati che vi stabilì un Ospizio il 3 novembre 1864 (V. PIVA, op.cit., pag. 211).