Prima della soppressione napoleonica esisteva un organo sistemato sul lato sinistro della navata[1], e doveva essere incassato nel muro visto che la sua asportazione lasciò un foro che fu fatto chiudere nel 1819 dalla Fabbriceria[2] della chiesa.
Il 25 novembre 1807 l’organo della chiesa assieme ai messali, ai paliotti di seta, agli ottoni, ai paramenti e alle lampade, fu venduto all’asta[3] in quel folle momento che vide il rigattiere, l’intromettitore o il semplice cittadino, avido acquirente di quadri, statue, organi e cantorie di chiese e monasteri soppressi[4].
La porta che si vede a sinistra è una vecchia porta di comunicazione tra la chiesa ed il monastero. Quando questo fu abbattuto e non era ancora stata aperta la porta di comunicazione fra la sagrestia grande ed il presbiterio, venne costruito un corridoio esterno semicircolare, che ancora adesso si può vedere, e che conduceva dalla chiesa in sagrestia.
Nella visita pastorale Vianoli del 1682, che tengo sempre come termine di riferimento perché la più dettagliata, viene chiamata “porticella” e si dice che “sta sempre chiusa, e non s’apre se non in occasione di sagre”.
Pare che sopra a questa porta fosse stato sistemato per un certo periodo un pulpito di legno.
Il pavimento a pietre quadre bianche di Rovino e rosse da Verona, caratteristico di molti pavimenti chiesastici cinquecenteschi, fu presumibilmente ultimato per la Pasqua del 1580, secondo l’impegno sottoscritto dal maestro tagliapietre Julio de Molin[5]. Sul pavimento della navata, quasi ai piedi della cappella maggiore, sono allineate in senso trasversale tre lastre sepolcrali appartenenti alla famiglia Michiel: al centro è sepolto il senatore Pietro Michiel morto nel 1602, a destra la moglie Elisabetta (1610) e a sinistra Elisabetta Lauretana (s.d.).
Un grosso lavoro di restauro fu eseguito nella parete destra della navata della chiesa che stando alla relazione sui lavori da eseguirsi nella chiesa di Mazzorbo dell’ing. F. Forlati della R. Soprintendenza ai Monumenti, doveva “attraverso assaggi ed eventuali morsature alle fondazioni, rifare pezzo per pezzo la moratura sovrastante …” [6] .
Il muro infatti si presentava con pericolosi rigonfiamenti all’infuori, determinati dai rifacimenti cinquecenteschi, cioè dalla apertura di grandi finestre che al posto dei quelle più piccole preesistenti, tagliarono le antiche lesene esterne che assicuravano continuità alla massa muraria, così che con il trascorrere dei secoli il muro andò deformandosi
Il felice restauro restituì alla chiesa la bella parete a sottili lesene dal tipico impianto tardo-romano: tre brevi archetti ciechi si ripetono in ritmico gioco luministico fra le lesene e fan da corona alla parete che ne viene alleggerita.
Furono ripristinate, al posto delle larghe finestre, le più strette finestrelle gotiche[7] in un lavoro di restauro che durò tutto il 1914[8].
Nella relazione della Soprintendenza si parla di piastrini dalle decorazioni bizantine che facevano da stipiti alle finestre ed altri frammenti di marmo lavorato di antica provenienza incastonati nel vecchio muro, parte dei quali si possono vedere fissi alle pareti dell’atrio[9].
Una grande lapide di legno color nero, racchiusa in una ricca cornice di marmo rosso, è posta sulla parete destra della navata: in essa si ricorda la data del 6 ottobre 1819 quando la chiesa di Santa Caterina divenne parrocchia in vece della chiesa di S. Angelo, con funzione solenne celebrata dal vescovo Emanuele Lodi essendo Patriarca Francesco Maria Milesi[10]. In questa cornice di marmo rosso – prima del 1819 vi era una lapide marmorea in onore del Procuratore di S. Marco Luca Michiel (1596)[11] del quale si ammirava il busto che ora si trova nel porticato del Seminario patriarcale[12]. Il busto di Luca Michiel è attribuito alla scuola di Alessandro Vittoria, importante scultore veneziano del cinquecento (1525-1608), famoso per il vigore e le qualità espressive dei suoi ritratti che in buona parte si conservano ancora nelle chiese e collezioni veneziane[13].
Sulla parete sinistra del presbiterio, sopra i dossali lignei, è sistemata una bella tela (151x99 cm.) anch’essa purtroppo in pessimo stato di conservazione. In primissimo piano due santi vestiti con un saio ed un bianchissimo ermellino, si stagliano su di un cielo carico di nuvole temporalesche. L’orizzonte basso divide il cielo da una porzione di mare dove si scorge una barca a vela con degli uomini a bordo, forse dei pescatori.
Le figure dei santi, quasi sospese nella loro eleganza formale, sono rivolte verso il cielo e con lieve movimento a spirale del capo creano uno spazio atmosferico che un uso sapiente della luce ricostruisce e dilata fra le nuvole.
Nello sfondo intonato da una gamma di pochi e spenti colori grigi e ocra delle nuvole, le vesti dei due santi ed il bianco degli ermellini escono in una ricca e vibrante atmosfera luminosa, probabilmente create da un artista seicentesco.
Potrebbe trattarsi dell’artista lucchese Pietro Ricchi e della sua pala d’altare ricordata dallo Zanetti[14] nel Duomo di San Pietro di Mazzorbo: “La tavola dell’Altar maggiore con Santi Pietro e Paolo, e un Angelo in aria è opera di Pietro Ricchi”.[15]
La tela con la soppressione napoleonica della parrocchia di San Pietro potrebbe essere stata trasferita in quella di S. Caterina. Ciò spiegherebbe il fatto che in nessuna visita pastorale a S. Caterina venga menzionata questa pala d’altare.
Sempre sulla parete destra del presbiterio due piccole tele, l’una raffigurante S. Giuseppe (63x48) e l’altra S. Pietro (66x54); due opere probabilmente dello stesso artista, si potrebbero collocare nell’area pittorica dei “tenebrosi”, forse della scuola di Antonio Zanchi (fine XVII secolo)[16]
Dietro la tela di S. Pietro vi è memoria del 1854 che ricorda la festa celebrata in occasione della collocazione del quadro sull’altare di S. Caterina, essendo allora S. Pietro contitolare della chiesa.
Un’altra piccola tela (68x53) del XIX secolo con S. Antonio e Gesù Bambino è posta sulla parete sinistra del presbiterio; un tempo era sistemata sul piccolo altare di sinistra al posto del rilievo bizantino di S. Caterina[17].
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[1] A.C.P. v.p. Diedo 1736, pag. 34.
[2] Archivio Parrocchiale di S. Caterina di Mazzorbo.
[3]
A.S.V. Demanio 1806 – 1813, II,
2/12.
[4] A. ZORZI, Venezia scomparsa, Venezia 1977, pag. 87.
[5] Ecco quanto si legge dalle note dell’Archivio del Monastero nella busta n. 13 dell’A.S.V.: “primo dicembre 1579 (…) pavimento della giesia di madonna Santa Caterina di Mazorbo tutto di quadri rossi e bianchi con li suoi frisi belissimi e le piere bianche sia da Rovino (…) sia fato per il giorno di Pasqua.”. Nelle Memorie Storiche di don Camozzo si parla di un pavimento originario fatto di terrazzo a 30 centimetri di profondità sotto quello che oggi si vede.
[6] Archivio parrocchiale di S. Caterina di Mazzorbo.
[7] Le cui belle vetrate sono state recentemente donate dal sindaco di Venezia Mario Rigo a nome dell’Amministrazione Comunale, in occasione dei restauri fatti dal Magistrato alle Acque nel 1983.
[8] Da ricordare il contributo di papa Pio X nel 1913. (vedi A.P. S.Caterina di M.bo).
[9] Nell’aprile del 1928, a quattordici anni di distanza dal restauro del muro, don Giuseppe Merli compilò un elenco di frammenti di marmo lavorato rinvenuti nel vecchio muro, elenco conservato nell’archivio della Parrocchia che si trascrive qui di seguito: - tre frammenti di colonna rotonda liscia, - quattro basi di colonnette doppie, - tre capitelli di colonnette doppie, - frammento di mortaio liscio, - due pezzi di marmo greco, - parapetto lavorato bizantino in due pezzi (incompleto), - frammento di sovrapporta bizantino con S. Caterina V.M. ed angeli.
[10] La lapide voluta dal parroco don Luigi
Pisani e dai fabbriceri Luigi Ragazzi, Antonio Zaniol e Mariano Botter, recita
così: “D.Q.M. / TEMPLUM HOC SUB AUSPIC. D. CATHARINAE V. M.
PROPH:AE / OBLIVIONI EXEMPLUM PROE CORRUENTI. D. MICHAELIS AEDI / SUFFECTUM SOLLECITUDINE. F. IL.
FRANCISCI, VENETI. PATRIAR:AE / PIENTISS. SODALIT.SS. CORP. CHR. HON. GR. ADSCRIPTI.
ANNUENTE / IMPER. AUGUST. VI. ID. OCTOB. ANN. R.S. MDCCCXIX. AB
EMMANUELE LODI ANTIST UT IN RITU. PIACULARI LUSTRATUM EXPIATUM PAR: / OECIALI. OFFICIO. ADDICTUM IX. KAL. PROX. SEQ. NOV. EUCHARIST. / IN PERP. SERV. IURE. POTRI. COEPIT. ALOYS PISANI PAR. ALOYS REGA / ZI
ANTON ZANIOL MARIANO BOTTER AEDITUIS CURANTIB.
/ PETRO. VERO GALEAZZI CONFRAT.
MODERAT. FRANC. CRUATO / SOD. IMPENSAS. PRAE. CETERIS. LUBENTISS.
AN. PONENTIBUS / ANT. MAGNANA. VEN.
AUCT.”
[11] “LUCAE MICAELI / DIVI MARCI PROCURATORI / HIC CUM REMP BENE SEMPER ADMINISTRASSET / IN CRETAM CUM IMPERIO CUI FATALIS DUX / ILLIUS TUENDAE MISSUS ETA INVICTA VIRTUTE / SELYNII TURCARUM IMP. CONATUS ELUSIT / UT BARBARIS AD CYDONEM FUSIS ET IN / CLASSEM FUGATIS REGIAM INSULAM SERVAVIT ET / EANDEM ITERUM CUM IMPERIO ADEPTUS PACAVIT / ET MUNITISS. REDDIDIT FIRMISS. GARABUSSAR PROPUGNACULIS INSTITUTIS SUDAE VERO / ET ALIIS ABSOLUTIS AT SPINAE LONGAE ETIAM / A SOLO EX S.C. EXTRUCTIS / CRETENSIS REGNI FORTISS. ASSURTOR / OBIIT X ID MARTII MDXCVI / VIXIT ANN. LXXVI / ALEXANDER FRATER PETRI ETIAM FRATI INDICIO / MAESTISS. P. ANNO MDCVII.”
[12] G. LORENZETTI, op. cit., 1926, pag. 699; V. MOSCHINI, Le raccolte del Seminario di Venezia, Roma 1940, pag. 9.
[13] Cfr. F. CESSI, A. Vittoria, in “I maestri della scultura”, n. 40.
[14] A.M. ZANETTI, op. cit., pag. 459. Interessante a questo proposito il confronto con un’altra sua tela: “ Lotta di Giacobbe con l’Angelo”, posta nella lunetta della piccola arcata di sinistra nel “coro maggiore” della basilica di Santa Giustina a Padova. (D. RUPERTO, L’Abbazia di Santa Giustina in Padova, Padova 1966, p. 145).
[15] Pietro Ricchi (1606-1675) nasce a Lucca e muore a Udine dopo aver viaggiato e lavorato in Lombardia e nel Veneto; giunge nella Laguna nei primi anni del sesto decennio del XVII secolo introducendovi “il gusto del patetico luminismo lombardo, impeccabilmente condotto sul filo di una plastica elegante, che talora si colora di accenti neomanieristici” Cfr. R. PALLUCCHINI, op. cit., p.226. P. DAL POGGETTO, I dipinti di Pietro Ricchi, in Scritti di Storia dell’Arte in onore di Ugo Procacci, Milano 1977, II, pagg. 543-553.
[16] Il Lorenzetti nella sua guida a pag. 821 ci riferisce di un “piccolo dipinto” con la figura di S. Giuseppe, del XVIII secolo.
[17] Come risulta da un documento fotografico del 1921 della Soprintendenza ai B.B.A.A. di Venezia.