Pesca e caccia, piantagioni, saline e allevamenti dovevano essere le principali attività degli antichi abitanti delle lagune, assieme ovviamente a quelle legate alla navigazione di piccole ma anche di grandi imbarcazioni che solcavano le acque lagunari, dei cantieri per la loro costruzione e manutenzione, oltreché delle attività legate al rifornimento della materia prima, fondamentale per Venezia, che fu il legname[1] .
Quando Venezia spostò i suoi interessi commerciali dai fiumi al mare, il legname divenne una grossa merce di esportazione, e nonostante le proibizioni dei papi e degli imperatori, essa lo vendeva ai Saraceni che ne abbisognavano per le loro imprese belliche, ricevendo in cambio la valuta estera che serviva loro per comperare a Costantinopoli le merci di lusso che poi avrebbero a loro volta venduto con grandi vantaggi in Occidente[2].
Il legname giungeva dalle grandi estensioni di querce delle pianure circostanti la laguna, dai boschi di frassino e faggio lungo i fiumi che dal Cadore portavano larici, pini ed abeti.
Enormi zatteroni giudati da abili zattieri partivano da Perarolo, scendevano il fiume Piave, e quando la pianura frenava la spinta dei tronchi fluitanti, questi venivano legati in gruppi e rimorchiati con delle funi da cavalli trainati lungo gli argini.
L’ingresso in laguna[3] forse avveniva per il Canale dei Lanzoni, in seguito attraverso la Cava del Caligo, e più tardi anche per il Canale del Cavallino, appositamente costruito (1600). La laguna Nord doveva perciò essere interessata e coinvolta in questa attività che vedeva il legname sostare nei pressi delle isole, fino a quando, dopo circa 15 giorni di viaggio, approdava a S. Francesco della Vigna e alla Sacca della Misericordia.
La vicinanza dell’isola di Mazzorbo con il percorso di queste zattere di legname avrà senz’altro favorito il loro acquisto per le necessità dell’isola: è molto probabile che il soffitto a carena di nave rovesciata della chiesa parrocchiale di Santa Caterina sia stato fatto proprio con il larice proveniente dal Cadore con questo sistema.
Un’enorme ricchezza che diede a Venezia, per la facilità con cui poteva approvvigionarsene, le basi per il suo dominio economico e politico sul mare.
Si ha notizia che in molti di questi canali, vi erano mulini ad acqua, detti acquimoli, che potevano essere mobili, posti su dei barconi o zattere, chiamati sandones, per potersi trasportare ove fosse più forte la corrente, oppure stabili[4], e si ricordano per esempio quelli menzionati nella donazione del doge Giustiniano Partecipazio nel 819 a S. Ilario; due ne ricorda l’abbate del monastero di S. Giorgio Maggiore in Rivo Businiaco nell’anno 982[5].
Nelle acque del canale di Mazzorbo erano sistemati dei mulini come risulta dai documenti d’archivio del Monastero di S. Maffio di Mazzorbo dove si conservano le carte relative a quattro processi per liti concernenti dei mulini a Mazzorbo[6] .
Nella Mostra Documentaria per il V° centenario di gestione delle Acque, allestita in occasione del Convegno di Studi promosso dal Magistrato alle Acque di Venezia nel giugno – ottobre del 1983, sono stati esposti fra gli altri tre interessanti disegni di mulini stabili in laguna: due su pergamena – i più antichi documenti dell’inizio del XV secolo - appartenenti al monastero di S. Maria degli Angeli presso S. Cipriano di Murano in cui si notano dei piccoli canali di derivazione per condurre l’acqua ai mulini[7].
Nel terzo disegno si vede: “el molino da chà Morexini con quattro ruote, posto tra il lago e la coda del canale di San Stephano in modo da poter utilizzare per il funzionamento una caduta d’acqua.”[8]. Così i primi mulini di Venezia erano mossi da una marea naturale ed artificiale; furono poi abbandonati forse perché intralciavano la circolazione delle acque lagunari.
Il sale fu un altro prodotto fondamentale per la economia veneziana; costituì una moneta di scambio importantissima per Venezia che, già nei suoi primi secoli di storia, fu punto di incontro fra l’Oriente bizantino e mussulmano e l’Occidente latino germanico.
I battellieri veneziani, prima del 1000, si spingevano su per i fiumi delle valli del Brenta, del Piave, del Tagliamento e per quelli della Valle Padana, giungendo sino a Pavia, capitale longobarda, alla ricerca del grano da scambiare con il sale ed il pesce delle loro lagune, oltreché per la vendita dei migliori e ricercati prodotti importati dall’Oriente[9].
Questa attività produttiva doveva essere molto antica se anche nella famosa lettera di Cassiodoro[10] del 537 ai tribuni marittimi veneziani egli dice: “tutta la vostra emulazione si concentra nel lavoro delle saline: anziché di aratri e falci, vi servite di rulli [per comprimere il fondo], e da qui viene tutto il vostro guadagno. Dalla vostra industria dipendono tutti gli altri prodotti, perché se pur vi è qualcuno che non ricerca l’oro, deve ancora nascere chi non desideri il sale, che rende ogni cibo più saporito”.
Le saline
erano sparse un po’ dovunque nella laguna; quelle nella laguna nord, vicine a
Mazzorbo, a partire dall’anno mille furono via via abbandonate forse per
l’eccessivo afflusso di acqua dolce dei fiumi: alcuni documenti riportano il
nome di una isola detta “Septem Salaria”, così chiamata forse per le sue
sette saline di cui ora non resta che il nome della palude: sette
saleri[11].
Nella laguna sud, vicino a Chioggia, si ha memoria di molte saline i cui nomi si possono ancora rintracciare nei documenti custoditi nell’Archivio di Stato di Venezia. Un’antica salina, forse di origine romana, è stata individuata nel 1811 proprio nel bacino di San Marco[12].
[1] Che il legname fosse una merce importante già al tempo di Altino ci è dimostrato da una iscrizione scoperta a Feltre, dove i “fabri” (lavoranti del legno) di Altino ponevano una dedica al loro patrono C. Firmio Rufino che era patrono anche dei fornitori di legname di Feltre. Da questa città che si trova a mezza strada tra il Cadore, centro di produzione, e il porto di Altino, luogo di lavorazione, passava il legname che fluitavi sul Piave e poi sul Sile sino alla nostra laguna. (L. BOSIO, Le presenze insediative nell’arco dell’Alto Adriatico dall’epoca romana alla nascita di Venezia, in Aquileia a Venezia …, Milano 1980, pag. 512).
[2] F.C. LANE, Storia di Venezia, Torino 1978.
[3] N. DI LUCIA COLETTI nel suo articolo La struttura lignea della Cavana avanza una ipotesi di provenienza delle travature della cavana di S. Giacomo in Paludo e si sofferma sull’arte antica della fluitazione nella nuova pubblicazione La Cavana di S. Giacomo in Paludo della Equipe Veneziana di Ricerca, Venezia 1983.
[4] S. ROMANIN, op. cit., pag. 65, cap.V, 1.I.
[5] F. UGHELLI, Italia sacra sive de episcopis Italiae et insularum adjacentium, Venezia 1720.
[6] Nel processo catalogato con il numero 679, in cui viene richiamato un documento più antico datato 1342, dove si legge: ”Nicolò Maccarello, come procurator di questo monastero, di molini, et acqua posta in Mazzorbo, di ragion della Commissaria della (?): Cattarina dalla Fontana tra questi confini, da un capo il canal, che scorre in Mazzorbo, dall’altro capo ferma con le sue acque di detti molini nel canal che scorre nel Dese, dall’altro suo capo ferma tra li molini di G. Bellin Baffo, e detti molini della Istessa Commessaria, e questo in virtù di due sentenze, una de 22 luglio 1341 e l’altra de 28 agosto 1341 …” (A.S.V., monastero S. Maffio diMazzorbo, Busta n.1).
[7] Disegni fatti a mano su pergamena con colorazioni varie. Schede n.6 e n.7 del Catalogo della Mostra, redatte da Eugenia Bevilacqua. (Misc. Mappe 868 – 1137 A.S.V.).
[8] Disegno eseguito a mano su pergamena con colorazioni ad acquerello mm. 262x306. Scheda n.23 del Catalogo della Mostra, redatta da Eugenia Bevilacqua. (A.S.V., S. Maria degli Angeli, Busta n.32).
[9] F.C. LANE, op.cit., pag.9.
[10] Il testo della lettera di Cassiodoro, con utili annotazioni, si trova nella edizione a cura di Ester PASTORELLO di Andrea Dandolo, Cronica per extensum descripta, in Rerum Italicum Scriptores, vol. XII, parte I, Bologna 1938-40, pagg.69-70.
[11]
J.C. HOCQUET, Expanasion, crises et declin des salines dans la lagune
de Venise au moyen age, in Mostra storica della laguna veneta,
Venezia 1970, pag.89.
[12] G. MARZEMIN, Sulla antichissima salina scoperta nel bacino di S. Marco, in “Ateneo Veneto”, 1940, vol. 127, pag.283. Durante i lavori nel 1811, di sistemazione dell’isola di San Giorgio Maggiore si eseguirono degli scavi profondi dirimpetto alla Piazzetta. Si rinvennero delle palizzate, cinque gradini di una scaletta, e un selciato a metri 3, 23 rispetto al livello medio della marea, oltre a dei grandi mattoni pesantissimi. Il Filiasi identificò questi reperti come parti di una salina antichissima risalente al 1° secolo a. Cristo, quando la zona si trovava nell’agro romano, municipio di Patavium dal quale dipendeva Matamauco e Rivoalto.