La cappella maggiore con i due altarini laterali.

Entriamo adesso nella descrizione della parte più interessante della chiesa: i due altarini laterali, raccordati all’altar maggiore dal medesimo colore del marmo rosso, costituiscono un tutto armonico, modellato dalla stessa mano cinquecentesca del maestro tagliapietre G. Domenico di Zorzi, veronese.

rilievo di Santa caterina chiesa di Santa caterina di Mazzorbo isola di Mazzorbo laguna di veneziaIn scala minore questi altarini ripetono la classica ed elegante composizione di colonna-trabeazione-timpano, che – con più ampio decoro – struttura l’altar maggiore[1].

 

Dentro la nicchia dell’altarino di destra si nota la statua del Sacro Cuore di Gesù[2] realizzata nel 1926. Su questo altare vi era indulgenza di sette anni per le anime delle monache defunte[3].

San bartolomeo rilievo di mazzorbo chiesa di Santa caterina isola di mazzorbo Torcello laguna di VeneziaSopra l’altarino laterale di sinistra, identico in tutto all’altro, è murato dentro una nicchia un bel rilievo antico di Santa Caterina che, sino agli ultimi restauri del 1922-25, era fisso “al canton” del muro sinistro, come si vede nella foto dell’Archivio della Soprintendenza ai B.A.A. Allora sull’altare vi era una urna di  cristallo con la Madonna Bambina, il cui culto è ancora oggi molto sentito fra la popolazione di Mazzorbo, e sempre dalla foto si vede collocato sull’altare un quadro con l’immagine di S. Antonio da Padova.

Il rilievo di Santa Caterina ci mostra la santa che tiene nella mano destra alzata la ruota del martirio e nella sinistra una croce; è vestita di una lunga tunica che la copre sino ai piedi ed è ornata da una fascia verticale con disegno a rombi appuntiti di autentico stile bizantino[4].

La santa incoronata ha sulle spalle un lungo mantello, trattenuto sul petto da una spilla che crea delle semplici e simmetriche pieghe. Il rilievo si data attorno ai primi anni del Trecento[5].

Voglio qui ricordare che nel museo di Torcello si conserva, murato sotto la volta della scala del Palazzo dell’Archivio, un rilievo in pietra d’Istria con l’immagine di San Bartolomeo. L’opera proviene dalla chiesa di Santa Caterina di Mazzorbo[6] e fu per lungo tempo murata sotto il portico del Duomo di Torcello.

Nei resoconti delle visite pastorali alla chiesa di Santa Caterina che sono conservati negli archivi, non viene mai menzionato questo rilievo, né tantomeno si conoscono le ragioni del suo trasferimento a Torcello; probabilmente questo sarà avvenuto in occasione dei lavori di rifacimento della chiesa di S. Caterina, attorno all’ottavo decennio del Cinquecento.

Il rilievo di scuola veneta del XV secolo[7], misura cm. 134x67, rappresenta l’apostolo San Bartolomeo in posizione frontale, con la sua pelle sulla spalla sinistra, secondo il martirologio romano che lo ricorda scorticato vivo su ordine di re Astyage di Armenia[8].

Nell’altarino di sinistra, prima della soppressione napoleonica (1806), al posto del rilievo di S. Caterina vi era la tela[9] raffigurante S. Benedetto con i Santi Mauro, Placido, Scolastica, Caterina e la Madonna, di Paolo Veronese, ma ritenuta di tarda esecuzione (1580) e autografa solo in parte[10].

 

S. Benedettto. Veronese, santa Caterina da mazzorbo, isola di mazzorbo, laguna di Venezia Il dipinto può essere identificato con quello citato dal Ridolfi come eseguito per la chiesa di S. Caterina di Mazzorbo[11] ed è ricordato anche dal Boschini[12].

Il vescovo Vianoli nel 1682 così lo descrive: “l’altro [altare]  S. Benedetto in Pittura con le monache poste in ginocchio”.

Nel 1733 lo ricorda ancora lo Zanetti: “La tavola alla destra dell’Altar maggiore con S. Benedetto, due Santi Vescovi con quattro monache, e in aria la Madonna sopra le nuvole col Bambin o, che sposa S. Catterina, e due puttini opera conservata, ed ammirabile di Paolo Veronese[13].

Il dipinto (135x195) ci mostra appunto San Benedetto in piedi con piviale e pastorale in mano, che con ampio gesto delle braccia apertee avvolge e protegge, assieme ai santi Mauro e Placido alle sue spalle, le pie monache genuflesse in primo piano. L’uccello che si vede in basso ricorda il miracolo del veleno quando il santo comandò al corvo di portar via il pane avvelenato.

L’opera fu inviata a Firenze assieme ad altri quadri sempre attribuiti a Paolo Veronese nel 1816, per ordine dell’imperatore Francesco I d’Austria, da Leopoldo Cicognara presidente della Galleria dell’Accademia di belle Arti, per compiacere il Granduca di Toscana che mandò in cambio tre pitture di maestri toscani all’Accademia di Venezia, di cui non si ha traccia[14].

Uno di quegli altri due quadri spediti a Firenze proveniva da una chiesa padovana e l’altro pare fosse anch’esso appartenuto alla chiesa di Santa Caterina  di Mazzorbo, ma di ciò non si hanno riferimenti più precisi[15].

 

La cappella maggiore è dominata dal grande altare cinquecentesco scolpito nel solito caldo marmo rosso da Verona[16]. Lo schema compositivo dell’altare ripete i moduli, ma più ingranditi, dei due altarini laterali: due colonne corinzie, la trabeazione e il timpano, sul quale due angeli alati ed un putto fanno corona all’altare voluto dalla nobildonna Emilia Michiel.

interno chiesa di Santa caterina di Mazzorbo, isola di Mazzorbo, laguna di Venezia

Al centro, il tabernacolo barocco subito suggerisce, sia per la qualità dei suoi marmi di Carrara e rosso di Francia, sia per le sue dimensioni esagerate che nascondono perte della pittura, la sua estraneità alla semplice linea dell’altare cinquecentesco.

Il tabernacolo fu messo al posto di quello più antico in legno[17] ed apparteneva alla chiesa parrocchiale di S. Angelo, come è ricordato dal preciso rendiconto inventariale del 1819[18].

Il suo innesto, oltre ad apparire un’evidente stonatura stilistica, portò alla scomparsa di buona parte della scritta dedicatoria di Emilia Michiel che è scolpita sul lato inferiore della cornice marmorea della pala.

Si tratta infatti dell’altare che questa nobildonna Emilia Podacattaro sposa di Antonio Michiel fece costruire per disposizione testamentaria come risulta dall’atto notarile del 28 ottobre 1572[19]. In quest’ultimo si riportava anche la scritta dedicatoria ora parzialmente scomparsa: “EMILAE MICHAELIS PATRITIAE VENETAE ET MANDATO, /  ET OPE, QUO SACRA OPPORTUNO STIPENDIO SIBI  /  PARATA QUOTIDIE PRESOLVANTUR ACCURATISSIME.”[20]

 

altare della chiesa di Santa Caterina di Mazzorbo, isola di Mazzorbo, laguna di Venezia, scritta testamentaria

 

Inoltre si disponeva perché fosse fatta nel mezzo del pavimento una sepoltura “che il coperchio della archa sia ad ogni modo di quella sorte de’ marmi machiati è quasi a’ novoli come si vede comunalmente per gli chiostri e chiese nelle sepolture di persone onorate fuora del qual coperchio si intagli maestrevolmente questo epitaffio…: EMILAE MICHAEL PATRITIAE  /  VENETAE NOVISSIMORUM SUORUM  /  OPTIME AC RELIGIOSE HOC  /  SEPULCHRUM SIBI UNIGENITAEQ  AC  /  PREDILECTAE FILIAE ELISABETH  /  CAETERISQ SUIS FACIENDUM  /  CONSTITUIT”.[21]

Questa sepoltura si trova ora sul pavimento della navata quasi sotto il coro delle monache, perché è stata recentemente spostata dal presbiterio per lasciar posto alla nuova mensa di marmo dell’altare che vediamo al centro della cappella maggiore.

Sempre nel medesimo atto testamentario veniva espressa la volontà di questa nobildonna Emilia Michiel di far dipingere una grande pala per l’altare maggiore: “che nel venerando e religiosissimo monastero di Santa Caterina di Mazorbo so faccia una palla all’altar grande con onorata e solenne pittura de si fatta qualità: IL BATTESIMO DEL NOSTRO SIGNOR GIESU’ CHRISTO CON QUELE FIGURE CHE SI VAN A HONORATO ET INTIERO CONPIMENTO DEL SANTISSIMO MISTERIO,  e se altro ornamento pareva opportuno a compimento della suddetta ancona mi rimetto al prudente e charitevole giudicio deli miei commesarij seguendo il parer de l’intendente…”[22].

 

Battesimo di gesù Cristo di Giuseppe Salviati, Chiesa di santa Caterina di Mazzorbo, isola di Mazzorbo, laguna veneta, Venezia

 

La pala che tutt’ora ammiriamo sopra l’altar maggiore è opera di Giuseppe Porta detto il Salviati[23], che eseguì questa tela presumibilmente fra il 1572 ed il 1575, evidentemente attenendosi ai desideri testamentari della nobildonna Emilia Michiel[24]. Il “Battesimo”, pur nel lieve squilibrio compositivo generato dall’addensamento di figure nel lato sinistro, mette in piena luce il corpo nudo del Cristo al centro della tela.

incisione copia dalla tela del Salviati, altar maggiore della chiesa di Santa caterina di mazzorbo, isola di Mazzorbo, laguna di VeneziaLa Madonna in primo piano a sinistra (forse il ritratto della committente Emilia Michiel), Santa Caterina incoronata e i due mesti angeli reggitunica dietro, osservano il battesimo che con largo gesto S. Giovanni Battista impartisce.

Dall’alto Dio Padre, attorniato da un bel gruppo di angeli in festoso movimento, irradia con la colomba dello Spirito Santo la sua celeste protezione[25]. Sullo sfondo si scorge un paesaggio campestre, a tratti illuminato da squarci di azzurro aperti fra le nuvole.

Un’atmosfera raccolta, dalla diffusa luminosità riscatta ed addolcisce con i delicati colori del rosa e dell’azzurro delle vesti della Vergine un lieve impaccio che si intuisce nei movimenti del Cristo e del Battista, nel tipico stile dei lavori del Salviati maturo[26].

La tela (290x194 cm.), fu scelta da Pietro Edwards, dopo la soppressione del 1806, fra gli altri 81 quadri[27] per venire esposta alle Gallerie dell’Accademia nel 1812 (n. 69 di inventario)[28], fino a quando nel maggio del 1927 venne fortunatamente restituita alla chiesa di S. Caterina di Mazzorbo essendo parroco don Giuseppe Merli[29].

Il dipinto fu restaurato nel 1827 da S. Santi e nel 1960 da B. Tiozzo. Più tardi fu anche ripulito da un denso strato di vernice gialla e ritoccato nelle parti superiori[30].

 

Ai lati dell’altare due porte: a destra di accesso alla piccola e antica sagrestia che l’attuale parroco don Ettore Fortezza ha fatto recentemente restaurare e ripristinare al suo originario uso; a sinistra la porta dalla quale si accede all’ampio locale che una volta apparteneva al monastero e che serviva alle monache per ricevere la S. Comunione attraverso una larga finestra, protetta da grate, aperta nel presbiterio[31]. Questo locale dal 1819 è stato usato come sagrestia.

 



[1]  A proposito di questi altarini laterali, va ricordata la antica tradizione che legava i parrocchiani in confraternite religiose attorno ad alcuni altari dei quali si impegnavano a sostenere le spese e a raccogliere le elemosine. Le ultime che si ricordano qui a S. Caterina furono quelle ripristinate nel 1939 dal Vicario economo don Giovanni Zanin e cioè: la scuola del Ss. Sacramento, la scuola di S. Maria Bambina, la scuola del Sacro Cuore e la scuola di S. Caterina.

La Scuola del Ss. Sacramento è forse la più antica in quanto esisteva già da quando la chiesa fu fatta parrocchia e poi il 29 dic. 1928, dopo un  periodo di abbandono, fu ricostituita dal Cardinal Patriarca La Fontain essendo parroco don Giuseppe Merli.

La Scuola di Maria Bambina fu istituita nel 1902 e si festeggiava l’8 settembre. La sua devozione è ancora viva e la sua immagine viene ancora oggi esposta sull’altare della Madonna Immacolata.

La Scuola del Sacro Cuore fu istituita nel 1892 e si riferiva all’altarino di destra.

La Scuola di S. Caterina fu istituita nel 11907 e si celebrava la sua festa sull’altare posto sulla parete destra (di S. Pietro).

Attorno agli anni ’50 non si ha più notizia di queste scuole.

[2]  Si tratta di opera dozzinale in cartone romano “uso marmo” alta centimetri 140, commissionata dal parroco don Giuseppe Merli alla ditta F.lli Bertarelli di Milano nel luglio del 1926.

[3]  A.C.P. Venezia, v.p. Vianoli 1682.

[4]  P. TOESCA, Il Trecento, Torino 1951, pag. 403.

[5]  H. von GABELENTZ, op. cit., Lipsia 1903, pag. 212.

[6]  G. NEPI SCIRE’, in Museo di Torcello, Venezia 1978, pg. 164, n.280.

[7]  G. LORENZETTI, op. cit., pag. 830; C.A. LEVI, Catalogo degli oggetti di antichità del Museo provinciale di Torcello con brevi notizie dei luoghi e delle epoche di ritrovamento, Venezia 1888;  A. CALLEGARI, il museo di Torcello, Venezia 1930, pag. 31.

[8]  L. REAU, Iconographie …, Paris 1956, tomo III, pag. 180.

[9]  Ora a Firenze nella sla detta dell’Iliade della Galleria Palatina di palazzo Pitti (n. 196 inv.).

[10]  T. PIGNATTI, Veronese, Venezia 1976, A94, e pag. 182, dove si rocrdano le incisioni che la riproducono di C. Monatti e di G. Mogatti.

[11]  C. RIDOLFI, Le maraviglie dell’arte, Venezia 1648, pag. 331.

[12]  M. BOSCHINI, Le minere op. cit., Venezia 1664, pag. 549.

[13]  A.M. ZANETTI, op. cit., pag.460.

[14]  Cfr. S. MOSCHINI-MARCONI, Gallerie dell’Accademia …, Roma 1962.

[15]  A. ZORZI, Venezia scomparsa, Venezia 1977, I, pag. 170. Alla Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Firenze, inspiegabilmente, risuolta che il quadro di S. Benedetto era a Firenze già prima del 1713 nella collezione del Gran Principe Ferdinando de’ Medici perché ricordato nell’inventario della sua eredità. Questo potrebbe significare che lo Zanetti nel 1733 non verificò la presenza dell’opera in S. Caterina di Mazzorbo, ma si limitò a trascrivere quanto riportava il Boschini nelle sue “minere” del 1664.

[16]  E’ sempre il maestro tagliapietre Cristofalo G. Domenico di Giorgii o di Zorzi come si registra dal suo impegno scritto a “far uno altar nella chiesa di S. Catharina di Mazorbo, justa il disegno” … “che sia tutto di pietra veronese madolada lavorada, lustrada …” (A.S.V.  S. Caterina di M.bo, b.13).

[17]  A.C.P. v.p. Vianoli 1682.

[18]  Memorie di don Camozzo.

[19]  A.S.V., Atti Vettor Maffei n. 658/287.

[20]  Ibidem.

[21]  Ibidem.

[22]  Ibidem.

[23]  Le fonti storiche ricordano la pala come opera di mano del Salviati; si veda la ricca bibliografia riportata dal McTavish nella sua monografia: Boschini, 1664, p. 549; Boschini –Zanetti, 1733, p.460; Moschini, 1815, p.524; Blanc, 1868, p.7; Campori, 1871, p.7; Milanesi in Vasari, 1568, VII (1881), p. 46, n. 7; Levi, 1900, p.CCVIII, no. 523; Moschini – Marconi, 1962, p.177; Zorzi, 1972, p. 493. Anche in assenza di una documentazione che espressamente ricordi l’incarico al Salviati di eseguire l’opera, si deve dedurre che l’artista la fece per ordine di Emilia Michiel, oltre che per l’identità del soggetto voluto dalla nobildonna, anche per la presenza dell’immagine di Santa Caterina incoronata dipinta alla sinistra, che conferma una esecuzione per un altare di una chiesa intitolata a questa santa. E’ perciò un’opera tarda che si colloca tra il testamento Michiel del 28 ottobre 1572 (termine post-quem) ed il 1575, anno a cui risalgono le ultime notizie del pittore. Verrebbe così spostata molto in avanti la data di esecuzione che il Meschini ipotizzava come lavoro del primo periodo veneziano del Salviati e cioè verso la metà del  cinquecento (cfr.S. MOSCHINI MARCONI in Gallerie dell’Accademia di Venezia, opere d’arte del XVI secolo, vol. III, Roma 1962, pag.177, n. 291). Mentre già il McTavish nella sua monografia Giuseppe Porta called Giuseppe Salviati, New York and London 1981, pagg. 176-279, 280 n.14, lo spostava di dieci anni più tardi.

Nella raccolta di incisioni riproducenti le opere pittoriche conservate all’Accademia veneta dello Canotto, vi figura anche una incisione di ANTONIO Viviani, eseguita su disegnno di Busato, del Battesimo salviatesco di Santa Caterina di Mazzorbo (F.ZANOTTO, Pinacoteca della I. R. Accademia Veneta delle Belle Arti, Venezia 1834, tomo II, pag. 365, n. 89).

[24]  Giuseppe Porta detto il Salviati nacque a Castelnuovo di Garfagnana tra il 1520 ed il 1525, studiò a Roma dal maestro Francesco Salviati da cui prenderà il nome e con il quale farà parte di quegli artisti di formazione tosco romana, come il Vasari, che si inserirono a Venezia negli anni tra il 1539 ed il 1541 ed introdussero nella pittura veneziana quella cultura manieristica che negli anni quaranta incise nel linguaggio dei maggiori artisti veneziani.

Il Salviati si forma a Venezia e recepisce le suggestioni lagunari, al punto da divenire “il protagonista di una conciliazione tra termini a prima vista inconciliabili: un volgarizzatore che faceva intendere anche agli sbadati le stesse novità manieristiche fluite nel gusto di Tiziano, del Tintoretto e del Veronese” (R. PALLUCCHINI, Giuseppe Porta detto il Salviati e il suo inserimento nella cultura figurativa veneziana in Da Tiziano a El Greco, catalogo della mostra di Palazzo Ducale, Venezia 1981, pag. 19).

[25]  M. BOSCHINI, op.cit., Venezia 1664,

[26]  D. McTAVISH, op. cit., 1981, pagg. 176 e 279.

[27]  Il Battesimo fu l’unico quadro che l’Edwards scelse, come si legge nella sua lettera del 15 giugno 1807 conservata nell’Archivio di Stato (Buste Edwards).

[28]  Ricordata dal Meschini a pag. 524 della sua Guida, 1815.

[29]  Archivio parrocchiale di S. Caterina di Mazzorbo.

[30]  Prima che la pala salviatesca tornasse nel suo posto originario vi era una tela di anonimo raffigurante S. Domenico, S. Caterina e santi, vedi anche le memorie di don Camozzo, e di questa non si hanno altre notizie.

[31] Nella v. p. Diedo 1736 si legge: “Prope Altare maius adest Magna Finestra suis Ferreis inauratis Cancellis tutata, marmoribusque elegante ornata ex qua Moniales percipiunt SS.mam Comunionem”. Dopo l’abbattimento del monastero questa finestra fu murata. Sempre mensionata in questa visita Diedo, vi era un’altra piccola finestra che serviva alla monaca in servizio di portineria per assistere alla S. Messa, ed era aperta vicina alla porta di ingresso: “Alia quoque minor Finestra adest propr ianuam bene tutata ex qua Moniales in officio portinaria Missam audiunt.” (A.C.P., Venezia, Diocesi di Torcello, v.p. Diedo 1736).