Prime forme di governo lagunare
Nel 568, a seguito delle invasioni longobarde di Alboino, inizierà per l’Italia la secolare frammentazione politica: da una parte, lungo le coste, dal Veneto alla Liguria, si estenderà il dominio imperiale di Costantinopoli esercitato dall’Esarca di Ravenna, dall’altra, nell’interno, l’Italia longobarda governata da Pavia.
Le città costiere rivelano nel tempo tendenze sempre più profonde di autonomia che nascono dalla insufficiente protezione delle truppe imperiali e dallo sviluppo dei ricchi e lucrosi commerci marittimi. Queste città organizzano allora una milizia cittadina il cui reclutamento è basato sulle corporazioni di arti e mestieri[1]
Nelle isole delle lagune venete la prima forma di governo doveva essere esercitata da un capitano militare, un tribuno, come anche la cronaca ci narra: “…infin al 466, quando il Patriarca di Grado con tutti gli altri sacerdoti, vedendo che ogni giorno crescevano le Lagune di popolo, dubitando che non divenisse sfrenato, convocato i CAPI DI CASA di tutte le isole fece un consiglio per provedere di un nuovo governo, e stabilirono che in ciascheduna isola s’eleggesse uno col titolo di TRIBUNO, il quale dovesse reggerla, ed amministrasse giustizia così civile come in criminale a tutti, e vollero che detti Tribuni, le feste si riducessero a Grado per ivi trattar le cose necessarie a pubblico beneficio, ed in tal guisa formarono una Repubblica composta de’ Membri di tutte quell’isole…” [2]
A Torcello, nella celebre iscrizione della basilica di S. Maria, si ricorda che essa fu eretta nel 639 proprio da un Magister Militum. Questi Capitani militari, detti anche Tribuni, nel 967 furono organizzati in un comando militare unico sotto un “duca” (doge), il primo dei quali fu Paoluccio Anapesto.
Questa nuova struttura, pur testimoniando l’acquisizione di una più larga autonomia di amministrazione locale, mantenne sempre il legame diretto con l’autorità imperiale di Bisanzio da cui riceveva ordini ed onorificenze, ma da cui Venezia seppe gradualmente conquistarsi con fine equilibrio diplomatico, la giusta indipendenza politica sotto la guida dei suoi dogi.
A partire dal X secolo, nelle isole di Torcello, Mazzorbo e Burano, ebbe inizio una forma di governo autonomo dal centro veneziano, con magistrature e nobiltà proprie. Il Podestà era la massima autorità di questa amministrazione locale e presiedeva il MAGGIOR CONSIGLIO ed il MINOR CONSIGLIO che erano le due assemblee rappresentative.
Il Maggior Consiglio era composto da 40 consiglieri che venicano eletti fra la nobiltà di queste isole, mentre il Consiglio Minore era costituito da tre deputati eletti dal Maggior Consiglio, da due Giustizieri, due Contraddittori ed il Podestà stesso.
Con gli Ufficiali del Comun, i Camerlenghi, i Cancellieri, i Giudici, i Procuratori ed i capi sestieri, si completava un quadro amministrativo che nel tempo estese la sua giurisdizione oltre che su Torcello, Mazzorbo e Burano, anche su Preporti, Cavallino, Cavazuccherina (vicina all’attuale Jesolo), Grisolera, Torre di Mosto, S. Stin di Livenza, S. Michele del Quarto e Campalto.[3]
Nella lapide murata sopra la porta laterale sinistra della chiesa di Santa Fosca a Torcello troviamo la prima menzione della carica di Podestà nell’iscrizione datata 1247 ove è scritto tra l’altro: “…ET MARTINO CASULO POTESTATE”[4]
Ancora oggi, nella piazzetta di Torcello si può vedere il bel palazzotto gotico del XIV secolo sede del Consiglio dell’isola e il Palazzo dell’Archivio ora adibiti a Museo dell’Estuario; fra i due edifici sorgeva il Palazzo del Podestà completamente distrutto.
Al centro dello spazio erboso la rozza sedia di marmo che la tradizione popolare indica come la “sedia di Attila” e che una più attendibile ipotesi fa credere fosse usata dai tribuni dell’isola per amministrare giustizia.[5]
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[1] A. SAITTA, Storia e tecnica nella civiltà umana, vol. II, Bologna 1965.
[2] S. ROMANIN, op. cit., Venezia 1853, pag. 76, cap. V, libro I. Di questo governo locale dei TRIBUNI MARITTIMI si parla anche nella famosa lettera di Cassiodoro (537), quando rivolge loro la richiesta per ottenere dai barcaioli veneziani un trasporto di merci e viveri sui loro navigli all’interno delle acque lagunari.
[3] L. CONTON, Torcello, il suo estuario, i suoi monumenti, Venezia 1927, pag. 84.
[4] L’iscrizione recita così: “ANNO AB INCARNATIONE DOMINI / DIE IX INTRANTE APRIL / CORPUS S. FUSCAE VIRGINIS / QUOD ERAT LONGO TEMPORE SUB IPSIUS ALTARI / ARTIFICIOSE CONDITUM / A STEFANO EPISCOPO PRAESENTIBUS CANONICIS / ET MARTINO CASULO POTESTATE”. Ed ancora il Romanin nella sua Storia documentata di Venezia, ci racconta, attraverso un documento del 1315, della amministrazione della giustizia nelle isole: …”assistito dai giudici di tutte le isole di Torcello Mazorbo, e Burano, alla presenza di tutto il popolo convocato nella Chiesa di Santa Maria di Torcello, stanziatasi prima di tutto il giuramento che ogni cittadino pretore doveva al Podestà, e quello dei giudici; poi regolavansi i Capitoli dei Procuratori delle Chiese e di Massari per le buone amministrazioni dei beni del Comune e per la sorveglianza sui commestibili e sulle bibite, per ovviare ai monopoli. Provvedevansi al buono stato delle rive per il facile approdo, ed impedire i contrabbandi, e che fossero fedelmente depositati gli oggetti di quegli isolani che li trovassero in acqua dal canale di S. Iacopo di Palude e quello di S. Felice.” (S. ROMANIN, op.cit., pagg.58-59, vol. I, Venezia 1855).
[5] G. LORENZETTI, Venezia e il suo estuario, Venezia 1926, pag. 824.