Interno della chiesa: i restauri del 1922
Attraverso un bel portone incorniciato di marmo rosso da Verona, ben lavorato [1] e dalla elegante linea rinascimentale, entriamo in chiesa.
La navata unica, priva di transetto, di modeste dimensioni e dalla semplice architettura, si chiude alla sua estremità con un ampio presbiterio senza abside.
L’aula è arricchita da un prezioso soffitto a carena di nave e dal caratteristico coro pensile (barco) delle monache, che dall’ingresso avanza quasi sino a metà navata, sostenuto da due semplici ed antiche colonne di marmo dai capitelli a becco di civetta.
La chiesa lunga 30 metri e larga 10, costruita sopra un preesistente edificio del 783, è stata ripetutamente manomessa, al punto che è difficile, fra questo intreccio di restauri, individuare una specifica unità stilistica dell’insieme che, a mio parere, è stata irrimediabilmente distrutta.
A prima vista, la linea acuta dell’arcone trionfale e la volta a crociera del presbiterio ci inducono a pensare ad uno stile gotico-veneziano, come il più illustre esempio della chiesa di S. Stefano dal trilobato soffitto ligneo.
Si potrebbe trattare dello stile che il Lorenzetti definisce tipico delle “chiesette gotiche conventuali” [2] , prendendo con ciò un grosso abbaglio.
Infatti il disegno incerto e “moderno” dei mattoni delle pareti dell’aula, il finto gotico del motivo floreale che incornicia il grande arcone, oltre al contrasto che la sua linea acuta esercita su quella a “tutto sesto ribassato” del soffitto a carena di nave, ci costringono ad una osservazione più attenta.
Ci accorgiamo così che a fianco dell’occhio tondo che dall’alto dell’altar maggiore dà luce al presbiterio ci sono due lunette cecate. Queste sono ben visibili all’esterno per la loro cornice di marmo bianco che delinea un arco a “tutto sesto ribassato”, anch’esso in contrasto con quello acuto formato dalla volta a crociera del presbiterio.
L’esame dei disegni relativi ai lavori di restauro del 1922-1925 chiarisce il nostro interrogativo: l’aspetto gotico che per primo colpisce il visitatore altro non è che un “restauro”, un discutibile intervento che ha fatto man bassa della preesistente ed originale architettura cinquecentesca demolita allo scopo di “ripristinare” un altro stile ritenuto originario.
In quella occasione venne demolita la volta a botte del presbiterio, la quale partiva dall’ampia finestra dell’altar maggiore, e nell’incontro con la navata si incorniciava di un largo arco di marmo rosso da Verona che in ritmica cadenza ripeteva l’arco a tutto sesto del soffitto ligneo della navata.
Due grossi stipiti, sempre di marmo rosso, oltre a sostenere l’arco, costituivano il tramite di congiunzione fra questo e i due altarini uguali, posti ai lati, che ancora oggi vediamo. Il tutto costituiva un insieme armonico che si completava con una cornice che correva lungo le pareti del presbiterio che partiva dai capitelli degli stipiti sino a quelli identici del timpano dell’altar maggiore.
Non già, dunque – una spinta verso l’alto come dovrebbe suggerire il riproposto stile gotico, ma un armonico sviluppo coloristico del marmo rosso da Verona che dai due altarini della navata ci conduceva, con lineare movimento, sino all’altar maggiore.
Il “restauro” si è preoccupato invece di ricreare una non documentata atmosfera trecentesca, distruggendo il ben proporzionato lavoro del maestro Cristofolo G. Domenico di Zorzi, tagliapietra veronese, che attorno all’anno 1571 fece anche l’altar maggiore. Si veda infatti l’obbligo scritto del 17 marzo 1570, firmato dal maestro Cristofalo e dalla R.da madre suor Marietta Venier per l’”altar nella chiesa di S.ta Cattarina di Mazzorbo, justa il disegno, (…), sia tutto di pietra veronese madolada lavorada lustrada.”
Ed ancora ricordo l’altro impegno scritto dal maestro tagliapietra veronese Cristofalo: “… si obbliga far el pavimento della chiesa di Santa Cattarina di Mazzorbo, tutti quadri rossi e bianchi, far doi coloni con li suoi piedistalli, lo qual va sotto il choro, far una finestra nella capella granda alla qual si ricava la S.ma Comunione… far la porta maistra di fora e dentro…” [3] .
Come si vede, furono eseguiti una serie di lavori che probabilmente cancellarono una preesistente fisionomia gotica della chiesa, ma seppero ridare all’interno l’aspetto compiuto e armonioso di una piccola chiesa rinascimentale.
[1] A.S.V., S.Caterina di Mazzorbo, b.13 processo n. 126.
[2] G. LORENZETTI, op. cit., pag. 821.
[3] A.S.V., S. Caterina di Mazzorbo, b. 13 processo 126.