E’ sempre una gioia annunciare
l’avvenuto restauro di una nostra antica pittura. Credo infatti di interpretare
il sentimento della Comunità di Mazzorbo quando dico che la restituzione alla
bellezza originaria di un’opera, non sia soltanto un atto dovuto al patrimonio
artistico della collettività, ma anche un piccolo atto di amore verso coloro
che vissero proprio in questi luoghi, molti anni addietro.
Un filo che si riannoda col
passato, che rivive anche attraverso un’opera d’arte, per le emozioni che questa
è ancora capace di donarci. Il recupero di queste bellezze non può allora significare
la banale pulizia di una tela, ma la sensibile attenzione verso la spiritualità
e l’anelito alla bellezza, non solo alle cose materiali ma anche a quelle dell’anima.
E’ per questa ragione che,
assieme alle cure pastorali, ho cercato nel mio servizio qui a Mazzorbo, di
riportare alla originaria bellezza questo ricco patrimonio artistico che ancora
conserviamo in questa nostra chiesa di Santa Caterina.
C’è ancora molto da fare, ma
oggi festeggiamo assieme questo ottimo restauro realizzato dalla Soprintendenza
veneziana, attraverso la perizia dei suoi tecnici e dei suoi studiosi.
LO SPOSALIZIO MISTICO DI SANTA CATERINA - DI MATTEO PONZONE RESTAURATO PER MAZZORBO
Un esempio significativo del riuso in pittura di una versione iconografica celebre come “linguaggio” è la bella e singolare tela di Matteo Ponzone (Rab 1586 c. – Venezia post. 1663) con lo Sposalizio mistico di Santa Caterina dell’omonima chiesa dell’isola di Mazzorbo.
L’opera, che il provvido restauro a spese dello Stato – diretto dalla Soprintendenza veneziana – ha restituito nei suoi valori pittorici originali, fu descritta la prima volta da Marco Boschini, storico contemporaneo al Ponzone, sull’altare di sinistra per chi esce dalla chiesa, riconoscendovi la mano felice del pittore dalmata operoso prevalentemente a Venezia dal 1613.
Confermata in loco, sotto il barco delle monache della trecentesca chiesa benedettina, nella visita pastorale del vescovo Vianoli nel 1682, come sottolinea nella sua guida recente il Com’astri, l’opera fu ridipinta in epoca imprecisata da mano dilettantesca subendo, insieme alle ingiurie del tempo, un inevitabile deprezzamento.
Superati forse a motivo di ciò nella sua sede d’origine gli atti di soppressione napoleonici nei confronti dei beni della chiesa di Santa Caterina e del convento, la tela rimase a lungo dimenticata nella sacrestia.
Segnalata nel 1968 come bisognosa
di restauro nel rilevamento del patrimonio artistico veneziano promosso dalla
Soprintendenza e finanziata dall’Unesco, esso fu posticipato nel 1984 – 1985
al più urgente recupero nella stessa chiesa della pala votiva dei Ss. Cosma
e Damiano (?) protettori di un naufrago.
Quest’ultima, identificata giustamente dal Comastri nella pala di Pietro Ricchi che lo Zanetti ricordava con qualche imprecisione sull’altare maggiore del distrutto duomo di S. Pietro a Mazzorbo, può essere datata al 1645 circa nel pieno periodo bresciano-bergamasco dell’artista lucchese, successivamente operoso a Venezia.
L’ICONOGRAFIA E LA CRITICA
Nel vasto repertorio iconografico di santa Caterina martire di Alessandria, presente fin dal Duecento nella laguna veneta, le nozze mistiche della santa furono un soggetto largamente rappresentato e caro alla religiosità popolare tanto nella chiesa di Mazzorbo che nell’omonima e coeva chiesa veneziana.
In quella sede la pala dell’altare maggiore fu rifatta verso il 1575 da Paolo Veronese che vi dipinse appunto le celeberrime Nozze mistiche di Santa Caterina. Il capolavoro, lodato dai contemporanei a partire da Francesco Sansovino – oggi custodito nelle gallerie dell’Accademia – ebbe, oltre ad una immensa “fortuna critica”, una vasta diffusione a livello di immagine come testimoniano, oltre numerose copie a stampa, le derivazioni in pittura che ne furono tratte nella stessa bottega veronesiana.
Nella chiesa di Mazzorbo nell’altare a destra di quello maggiore custodiva un tempo, come ricorda il Ridolfi, una pala uscita dalla bottega di Paolo – oggi a palazzo Pitti – con: San Benedetto ed altri santi benedettini ai quali apparve lo sposalizio mistico di Santa Caterina (cfr. Comastri, 1983), particolare quest’ultimo espresso in una formula sintetica derivata dal celebre soggetto di Paolo ad opera, forse, del fratello Benedetto attorno al 1580.
Da entrambi gli esempi iconografici: quello veneziano di Paolo e quello di Mazzorbo di Benedetto, Matteo Ponzone, trasse lo spunto 50 anni più tardi nella sua tela or ora restaurata. Lo scenario aulico mondano creato dal Veronese nella sua “sacra rappresentazione” si traduce nell’artista seicentesco in un episodio quasi quotidiano familiare. Volgarizzato in termini umanamente persuasivi: sintesi formale che diverrà a sua volta modello per una anonima derivazione su rame oggi alla Pinacoteca dei Concordi di Rovigo.
Le Nozze mistiche di Santa Caterina di Mazzorbo, riscoperte dal Comastri inquadrate nel profilo storico artistico di Matteo Ponzone tracciato dal Prijatelj e dal Pallucchini, ricevono conferma della loro autografia grazie alla lettura dei loro dati stilistici. Questa analisi inquadra l’opera, assieme ad altre neoveronesiane dell’artista come l’Adorazione dei Magi e l’Annunciazione (1629) del Museo Civico di Treviso, nell’ultima fase del primo periodo veneziano del pittore, con una datazione di massima intorno al 1630. Andrà tuttavia osservato rispetto agli esempi citati, come la componente stilistica neo-veronesiana del Ponzone nella tela di Mazzorbo cede il passo nella figura della Vergine, ai nuovi modelli contemporanei formulati dai pittori della corrente classicista come Marco Ingoli e il Padovanino.
Il colore timbrico del Ponzone, sottolineato da un chiaroscuro largo e sfrangiato specie nei volti studiati come ritratti singoli, si ravviva nel primo piano con lumeggiature argenteee, come bagliori che definiscono volumi di lontana memoria settecentesca.
Gli esiti della ricerca espressiva dell’artista, già adombrate nella tela di Mazzorbo, raffigurano la grande stagione della pittura veneziana del Settecento.
IL RESTAURO
All’atto del ritiro dalla chiesa di Santa Caterina il dipinto si presentava in cattive condizioni in quanto mai prima di allora era stato sottoposto ad interventi di tipo conservativo.
Il colore, spento, sgranato e pulverulento, era in certe zone già caduto o si apprestava a cadere per il naturale venir meno del tempo dell’efficacia del legante. Parimenti il telaio, ormai disunito ed inconsistente, era inadatto a tenere in tensione la tela, mentre la cornice originale si presentava spezzata in più punti ed intaccata da insetti silofagi. Pertanto la bonifica dell’opera pittorica si è accompagnata a quella del ripristino conservativo della cornice dorata quale sua parte integrante.
Nel caso specifico di questo dipinto, che non era mai stato restaurato, una particolare attenzione è stata posta nelle primissime fasi dell’intervento, successive alla prima documentazione fotografica: la saturazione ed il consolidamento del colore con vernice naturale stesa in più mani prima della velinatura con la colletta.
Le ulteriori fasi dell’intervento hanno seguito la metodologia ormai da tempo codificata nel restauro dei dipinti su tela. Dopo le fondamentali operazioni conservative della doppia foderatura della tela originale di supporto e la stiratura di consolidamento del colore, la superficie pittorica è stata liberata dalle veline per essere accuratamente rifotografata ed analizzata con l’ausilio di apparecchiature a raggi speciali. Si è quindi proceduto, settore per settore, alla cauta pulitura del colore, operazione che ha 4evidenziato la “sgranatura” dei pigmenti nel settore in basso a sinistra con il conseguente affioramento della preparazione brunacea.
I cauti ritocchi pittorici delle lacune di non grave entità sono stati eseguiti su di una preparazione a stucco imitante quella originale, per punti e velature, con colori all’acquarello rinforzati a vernice. Il dipinto è stato infine saturato e protetto con molte stesure di vernice diluita, delle quali l’ultima antiriflettente.
Prima della riconsegna alla chiesa di Santa Caterina, il dipinto è stato protetto a rovescio da eventuali infiltrazioni di materiali estranei e nocivi con l’applicazione della doppia tela antigrandine.
dott.
Ettore Merkel
Direttore presso la
Soprintendenza