UN RESTAURO PER MAZZORBO

 

 

Ad un anno dalla presentazione del libro “La chiesa di S. Caterina e l’isola di Mazzorbo” di E. Comastri, dove si sottolineava il pessimo stato di conservazione delle opere pittoriche poste alle pareti dell’antichissima chiesa di S. Caterina, già una pala restaurata alla nostra Comunità.

L’occhio attento del dottor Ettore Merkel ha dato inizio al primo lavoro di restauro di questa pala dei santi Cosma e Damiano che mani esperte dopo pochi mesi hanno riportato al suo primitivo splendore.

E’ l’inizio degli interventi di restauro alle opere pittoriche di S. Caterina promosso dal dott. Francesco Valcanover, Soprintendente ai Beni Artistici e Storici di Venezia.

Ci auguriamo che entro breve tempo si provveda anche al restauro delle altre opere di valore storico oltre che artistico che si possono ammirare nella chiesa di S. Caterina:

-         la bellissima pala dell’altar maggiore: “Il battesimo di Gesù” del Salviati;

-         “il matrimonio mistico di S. Caterina” di Matteo Ponzone;

-         la paletta di San Nicolò;

-         le due piccole tele di S. Pietro e di S. Giuseppe.

Sono le uniche opere che Mazzorbo possiede, ed il visitatore può trovare in esse una suggestiva carica di semplicità e spiritualità.

 

                                                                                             Sac. Ettore Fortezza

                                                                                                        parroco

                                                                                                  Mazzorbo 1984

 

 

 

 

Il restauro appena ultimato di questa paletta dei due santi Cosma e Damiano, voluto dalla Sprintendenza ai Beni Artistici e Storici nella persona del dott. Merkel e sollecitato dalla costante premura dell’amico don Ettore, ci restituisce il piacere di ammirare nelle sue tonalità più vive, un’opera sconosciuta al pubblico veneziano, anche per il pessimo stato di conservazione in cui versava.

 

Il restauro ha reso giustizia di un dipinto che rivela la felice mano di un artista che, con una tavolozza di pochi colori, ha saputo costruire in scioltezza e luminosità pittorica, una tessitura cromatica ed un impianto compositivo degno di ammirazione, anche se egli di certo non appartiene alla schiera dei “grandi” pittori veneziani.

Un minore, come si suol dire con un certo distacco, un pittore ancora sconosciuto, ma di sicuro nel novero degli artisti seicenteschi veneziani o fra quei foresti che hanno lavorato in laguna apportandovi nuovi fermenti ed esperienze.

Un mondo artistico, quello veneziano di allora, sensibile alle influenze esterne, a stento liberatosi dal dilagante accademismo dei primi decenni del secolo XVII e dibattuto nella definizione della propria espressione artistica. Per queste ragioni l’attribuzione non si presenta facile, anche se le elevate qualità dell’opera dovrebbero consentire l’individuazione di una ristretta rosa di nomi.

Un’attenta analisi stilistica congiunta a qualche fortunoso aggancio storico potrebbe farci approdare ad un nome sicuro, per il momento, come ipotesi di lavoro, azzarderei il nome dell’artista lucchese  Pietro Ricchi (1606-1675).

In uno sfondo intonato all’azzurro e all’ocra di gonfie nuvole amalgamate da sapienti velature, emergono le figure dei due santi gemelli, quasi sospese nella loro eleganza formale mentre guardano il cielo con lieve movimento a spirale del capo nel caratteristico atteggiamento patetico. Una luce intensa nasce dal vasto cielo che copre quasi tutta la tela creando una vibrante atmosfera luminosa estesa ed avvolgente sul roseo incarnato del putto in alto e sui volti ispirati dei santi nella loro bianca cappa d’ermellino. (Una pala di Jacopo Tintoretto conservata all’Accademia, raffigura questi due santi in identiche vesti dottorali e mantellina bianca d’ermellino).

Nella tela in basso spiccano gli argentei barbagli delle onde increspate del mare, richiamandoci al racconto del martirio dei santi gemelli Cosma e Damiano, incatenati e gettati nel mare da una barca. L’episodio descritto ci ricorda la leggenda del loro supplizio quando il proconsole Lysias, non riuscendo a far loro del male con la fustigazione, tenta di annegarli, ma senza riuscirvi per il provvidenziale intervento di un angelo che rompe le catene e li riconduce a riva.

 

Questi santi, patroni dei medici, furono popolari per la loro reputazione di santi guaritori, ed invocati contro la peste unitamente ai santi Sebastiano e Rocco. Proprio in occasione della liberazione dalla peste del 1630 fu eretta a Mazzorbo di fronte all’attuale chiesa parrocchiale di Santa Caterina, la chiesetta di S. Maria delle Grazie, che tra l’altro ogni anno era meta di una processione degli abitanti di Mazzorbo in occasione della festa di S. Rocco, ebbene, questa particolare coincidenza potrebbe far pensare che in origine questa tela fosse custodita in questa chiesetta finché, a causa della soppressione napoleonica, venne trasferita in quella di S. Caterina ove si trova, restaurata e degnamente custodita.

 

                                                                                                                      Enrico Comastri