La famiglia Manin, dalle origini antichissime, divenne nel tempo molto ricca[1] e potente grazie ai meriti ed al valore di molti dei suoi componenti, i quali seppero guadagnarsi il rispetto delle genti, gli onori dei sovrani e l'accoglienza fra la nobiltà friulana ed il patriziato veneziano.
Il nome Manin è oggi a noi tristemente noto per essere appartenuto all'ultimo doge di Venezia, Lodovico Manin, colui che con dignità affrontò la dissoluzione della Repubblica minacciata da Napoleone Bonaparte, e presiedette il 12 maggio 1797, l'ultima seduta del Maggior Consiglio che ne decretò la fine, dopo oltre undici secoli di indipendenza e gloria.
Disegno
a penna dello stemma nobiliare Manin, con Vulcano sulla sommità.
Le origini più lontane, non documentate, di questa famiglia si fanno risalire alla Gens Manlia di Roma, del quarto secolo a.C., mentre quelle comprovate da scritture, hanno inizio in Toscana a partire da un Manno proveniente dai Bucij di Rieti, trasferitisi poi a Fiesole e quindi a Firenze.
Il ceppo originario resta unito fino ai primi anni del 1300, quando si divide in tre diramazioni: una toscana con capostipite Romanello Manini, una con Manino II che si trasferisce in Friuli alla corte del Patriarca di Aquileia, Raimondo della Torre[2] e la terza con a capo Giacomo II Manini, figlio di Romanello, il quale genera una discendenza chiamata d'Ungheria e d'Inghilterra[3].
Ricorderemo Giacomo II Manini per il diploma che riceve da Edoardo III d'Inghilterra (1327-1377), a Windsor il 5 agosto 1362, a riconoscimento del suo valore dimostrato nelle guerre contro la Francia. In esso si concede il privilegio al suo primogenito di portare il nome Edoardo, per sé e tutti i suoi discendenti, ed acquisire la nobiltà britannica, le insegne della Giarrettiera ed il diritto di porre nello stemma di famiglia, l'arma reale inglese[4].
Un secondo diploma è rilasciato il 15 settembre 1381 da Riccardo II a Odoardo figlio di Giacomo II Manini, a riconferma di tutte le onorificenze concesse al padre, assieme alla nomina a conte di Canterbury[5].
Ma torniamo alla diramazione che più ci interessa, cioè quella friulana[6], dove vediamo Manino II aggregato, nel 1312, alla nobiltà udinese e divenire capostipite dei Manin del Friuli, sviluppando un ruolo importante nella politica della Serenissima per il controllo ed il mantenimento delle vie di comunicazione verso i paesi dell'Europa centrale.
I Manin acquistano prestigio e potere specialmente nel settore finanziario oltre che in quello politico-militare, assumendo, assieme alla famiglia dei Barbaro ed in special modo a quella dei Dolfin, un ruolo centrale nella politica veneziana di contenimento dell'influenza dei paesi d'oltralpe, presidiandone i confini[7].
Venezia favorisce il consolidarsi dinastico, economico e territoriale di queste famiglie, riconoscendo e premiando il valore di alcuni personaggi, come farà per il diplomatico Nicolò Manin, al quale il Maggior Consiglio, il 13 giugno 1385, conferisce la cittadinanza veneziana:" . . ., procurando honorem, et exaltationem Ducalis Dominij, fiat sibi gratia, quod cum suis Heredibus recipiatur in Civem Venetum de gratia speciali.»[8]. O sostenendo, ad esempio, i Dolfin nel seggio patriarcale di
Aquileia[9], consentendo loro la successione alla carica, ininterrottamente dal 1657 per più di cent'anni.
Il 4 febbraio 1526, l'imperatore Carlo V conferisce a
Camillo Manin[10],
figlio di Bernardino I, il diploma di Cavaliere
aurato, assieme alla nomina di Nobile del Sacro Romano Impero con il diritto di porre nello stemma[11]
il drago coronato con la corona cesarea: «...
concediamo ed elargiamo, cioè lo scudo diviso per lungo in due parti la cui
destra è di color azzurro o celeste, la sinistra bianca o Arma
dell'ultimo doge Manin, conservata in Palazzo Ducale a Venezia.
Vale la pena, allora, di riassumere le caratteristiche dello stemma Manin, facendo riferimento a quello dell'ultimo doge Lodovico, ancor oggi conservato in Palazzo Ducale. Si divide in quattro parti, di cui la prima e la quarta mostra un leone rampante rosso su sfondo oro, la seconda e la terza costituite da due fasce, una dallo sfondo azzurro con il drago verde[13] alato e coronato d'oro, l'altra d'argento divisa a metà da una striscia trasversale azzurra[14].
Variazioni sul tema si hanno negli altri scudi di famiglia che via via si incontrano, vedi quello dipinto dal Dorigny nel coro del Duomo di Udine[15] dove si vede la corona anche sul leone e il drago è colorato di rosso, mentre in questo della cappella di Passariano il drago porta lo stesso colore dello sfondo e la fascia argentea della seconda e terza parte è a sinistra anziché a destra[16].
Vi sono poi gli stemmi scolpiti: quello esterno, qui a Passariano, al centro del timpano del portale d'ingresso della cappella[17]; quello della facciata della chiesa dei Gesuiti, o quelli scolpiti ai lati dell'altare della cappella della Sacra Famiglia agli Scalzi a Venezia.
E ancora: quelli realizzati in argento sbalzato in entrambi i piatti del messale, appartenente alla oreficeria sacra della villa[18]; e quelli disegnati e custoditi presso la Biblioteca del Museo Correr, fra i quali quello eseguito in occasione della elezione di Lodovico Manin a doge, ove si vede lo stemma con la berretta ducale e attorno gli stemmi dei nobili suoi grandi elettori .
E' con Antonio Manin[19],
nipote di Camillo, che inizia il legame fra questa nobile famiglia e
Passariano, quando cioè, nell'aprile del 1578, acquistano la Gastaldia di
Sedegliano[20],
cui appartengono S. Lorenzo, Sedegliano
, Grions, Gradisca e, appunto, Passariano[21],
anche se la sua chiesa faceva capo alla Pieve di Codroipo[22].
Il figlio di Antonio, Francesco, lo stesso che è ritratto nella sacrestia, fu
vescovo di Cittanova in Istria e strenuo difensore contro il pericolo dell'eresia
e Stemma
dell'ultimo doge, Ludovico Manin, assieme agli stemmi dei suoi 41 grandi
elettori.
Ma è con Lodovico I (1587-1659), figlio di Bernardino II di Antonio, che prende corpo il progetto-programma del complesso edilizio
di villa Manin, la cui prima impostazione, afferma la Venuto, risale al
periodo che va dal 1650 al 1660
circa[23].
Nel 1607, con ducale veneta egli è investito dei feudi di Polcenigo e Fanna[24],
quindi nel 1626 della Signoria di Brugnis, Bando e Juris[25].
Ludovico I, è senza dubbio uno dei personaggi più importanti della famiglia Manin di quel secolo, tant'è vero che il 3 giugno 1651 è aggregato dal Maggior Consiglio di Venezia alla Nobiltà Veneziana, per i numerosi meriti acquisiti dai Manin nella lunga e dispendiosa guerra di Candia, oltre che per la cospicua somma di centomila ducati offerta alla Repubblica.
Un personaggio che dà vigore e prestigio alla famiglia e che nel suo testamento, fa obbligo a tutti i primogeniti di portare il suo nome[26], a conferma di una personalità consapevole dei propri meriti, desiderosa di lasciare traccia e memoria di sé alla discendenza.
Dispose inoltre di venir sepolto nel Duomo di Udine[27], ma questo fu possibile soltanto dopo la complessa ed ampia ristrutturazione settecentesca[28] che comprende i due grandiosi mausolei della famiglia Manin, collocati uno di fronte all'altro, alle pareti laterali del presbiterio[29] del Duomo[30].
Nel 1707 fu scavata al centro del presbiterio, nei pressi dei gradini, la nuova sepoltura dei Manin[31] dove fu posto Lodovico I Manin[32].
Francesco IV (1631-1692) prosegue l'ampliamento e la ristrutturazione degli edifici di Passariano e decide la riedificazione della chiesa, come si legge nella richiesta fatta al patriarca Giovanni Dolfin nel 1686[33] (App. doc. I). Preoccupandosi anch'egli di lasciare nel testamento del 1691, precise disposizioni agli eredi per il completamento della chiesa[34] (App. doc. II).
Francesco IV muore nel febbraio del 1692, saranno i figli, Antonio e Nicolò[35], ad occuparsi delle decorazioni e dell'arredo della chiesa di Passariano[36].
La discendenza[37] prosegue con Lodovico II (1652-1741), Lodovico III Alvise (1695-1775), podestà a Chioggia e a Verona, e quindi con Lodovico IV (14 maggio 1725 - 24 ottobre 1802), ultimo doge di Venezia.
Eccoci giunti velocemente al personaggio, tristemente noto, per aver, suo malgrado, dogato negli ultimi giorni della Repubblica di Venezia.
Si forma alla scuola gesuitica del collegio San Severo di Bologna, dove chiude gli studi con un saggio sul tema della validità della legge naturale come guida all'agire umano: "Propositiones de Jure naturae"[38], che lascia intuire, pur non accettandole, l'attenzione verso le nuove idee illuministe del suo tempo, e l'interesse per la complessa realtà politica che lo circonda, di cui come nobile veneziano, dovrà comunque occuparsi.
Fu, infatti, molto attento alla questione pubblica e pose molto zelo soprattutto nelle cose di economia, evidenziate nei dispacci inviati da Vicenza quando è eletto capitano nel 1752[39], manifestando anche una notevole sensibilità per le condizioni degli abitanti del contado.
Quando nel 1757 è eletto capitano a Verona, dimostra di essere un accorto amministratore, impegnandosi per la regolamentazione dei corsi d'acqua nel veronese, ed adoperandosi con coraggio e capacità in occasione delle inondazioni di quell'anno. Nella sua relazione del 16 dicembre 1758 darà particolare risalto ai problemi relativi all'industria ed al commercio della seta[40].
Nel 1762 è inviato Podestà a Brescia, e di quel periodo si conserva qui a Passariano una medaglia in rame, coniata l'11 dicembre dello stesso anno, in occasione della posa della prima pietra di una chiesa bresciana[41] (cat. 5.7).
Mentre è a Brescia, il 25 novembre 1763, all'età di 38 anni, gli giunge la nomina a Procuratore di S. Marco de ultra[42], che lo richiama a Venezia. In quell'occasione i Bresciani lo festeggiano e lo onorano con una sorta di cittadinanza onoraria, come testimonia la scritta della medaglia che gli regalano: BRIXIA GRATA INGENUA e nel verso LUDOVICO MANINO COENOMANO MDCCLXIV.
Nella risposta di Lodovico di ringraziamento al doge per la nomina a Procuratore, quando scrive: «... per adempiere esattamente le publiche prescrizioni nell'amministrazione della giustizia, nel sollievo de' sudditi e nel maneggio delle pubbliche rendite, al che devo dirlo con verità mi ha molto assistito gl'insegnamenti e ricordi del mio buon padre.»[43] lascia scorgere, nel riferimento ai sudditi, quel tratto del suo carattere, che si evidenzierà in special modo negli ultimi anni della sua vita, una qual forma di paternalismo, di filantropico altruismo. Quello spirito di umana carità che lo indurrà nel suo testamento a lasciare un'ingente fortuna a favore dei malati di mente e della infanzia abbandonata, e che soltanto nel 1857 si concretizzerà nell'Istituto per l'istruzione dei ragazzi abbandonati "Ludovico Manin" a Palazzo Sceriman a Venezia[44].
Un altro aspetto della personalità di Lodovico IV fu il
suo amore per lo studio, per i libri che numerosi costituivano la sua pregevole
biblioteca, e in questa sua passione era accomunato dall'identico interesse
della moglie Elisabetta Grimani, che aveva sposato il 23 settembre 1748.
Amore per le arti, come la pittura, quando commissiona, nell'occasione del suo sontuoso matrimonio, due "soffitti" ovali a Giambattista Tiepolo per il suo palazzo in San Salvador[45], per la poesia, la musica ed il teatro. E' Lodovico Manin nel 1787 a patrocinare l'iniziativa del Progetto di teatro sul Canal Grande presso il bacino di San Marco, ideato da Pietro Bianchi, e titolato nell'album delle tavole: "Teatro già umiliato a Sua Eccellenza Misser Conte Ludovico Manin Kavalier e Procurator di S. Marco. Ideato prima ed ora ridotto alle necessarie misure"[46], che appare nel disegno della veduta del bacino di San Marco di Giacomo Guardi[47] e che fa da antiporta all'album stesso.
Nei venticinque anni che intercorrono fra la sua nomina a Procuratore e la elezione a doge, Lodovico Manin, assecondando la sua natura schiva e laboriosa, assumerà molte responsabilità fra le numerose cariche dello stato, senza mai uscire dall'ombra di un assiduo ma oscuro lavoro svolto essenzialmente negli uffici amministrativi e finanziari della città.
Soltanto nel 1782, in occasione del passaggio di papa Pio VI, esce dall'anonimato essendo incaricato, assieme al procuratore Marco Alvise Contarini, di accompagnare il pontefice durante il suo viaggio nei territori della Repubblica. Fu così cortese ed ospitale che Pio VI, nel breve soggiorno a Udine in palazzo Antonini, il 13 marzo 1782, per testimoniare la propria gratitudine lo nomina cavaliere[48].
Di ritorno da Vienna il pontefice è accolto il 15 maggio nella città lagunare con grande magnificenza ed il Manin a sue spese ne organizza l'accoglienza: si trattava di una cantata eseguita da 70 ragazze di quattro differenti conservatori, titolata "Il ritorno di Tobia" con i versi di Gaspare Gozzi e la musica del celebre Galuppi[49]
Nel 1789, al primo scrutinio, fu eletto alla più alta magistratura della Repubblica di Venezia, e vi rimase fino al 12 maggio 1797 quando il Maggior Consiglio decretò la caduta della Serenissima. Lodovico IV non ebbe eredi, così l'asse ereditario passò a Lodovico figlio del fratello Giovanni[50].
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[1]<I Manin, nel 1740, erano i più ricchi fra tutti i nobili veneziani iscritti nel libro d oro: essi godevano di ottantamila ducati di rendita annua, oltre a duecentomila ducati in contanti e agli altrettanti ulteriori in gioielli. Queste somme provenivano essenzialmente dalla terra: derivando loro il restante dai prestiti di stato o dalle affittanze di case in Venezia.>, J. GEORGELIN, Passariano e la civiltà delle ville venete (a proposito dei contributi di Michelangelo Muraro), Ateneo Veneto, Gennaio - Giugno 1975, vol. 13 - N 1, p. 147 - Anno XIII n.s.
[2] Molti fiorentini come gli Strozzi, i Bardi, i Brunelleschi, furono costretti in quel periodo ad emigrare per ragioni politiche in Friuli. Si veda Biblioteca del Museo Correr (B.M.C.), Memorie della famiglia Manin, codice Cicogna 3162/XX.
[3] In quanto fu nominato da re Luigi I, Governatore della Transilvania, ma poi inviato (1345-1348) quale Ambasciatore alla Corte d'Inghilterra.
[4] «... concediamo amplia facoltà a te e tuoi Discendenti Fratelli e nipoti suoi, Eredi e Successori in perpetuo d'inserire nello stemma antico della tua Famiglia l'Insegna del Regno d'Inghilterra e di quella liberamente servirsi in occasione di Giostre, Torn»i Guerre e Duelli, quella far imprimere sopra Legni, Anelli, Sigilli, Sepolcri, Edifizij, e godere di tutte quelle immunità, prerogative e privilegi ...» Si veda il diploma, trascritto e tradotto, nel manoscritto Barbaro conservato nella Biblioteca del Museo Correr (B.M.C.): M. BARBARO, Arbori dei patrizi veneti, vol. IV, c. 277.
[5] Nel 1399 il Parlamento inglese depone Riccardo II, costringe Odoardo Manini ed il figlio Antonio a ritornare in Ungheria. Antonio rientra in Italia e nel 1412 è Podestà a Pisa, mentre il padre Odoardo I rimane in Ungheria e la sua discendenza sarà aggregata alla nobiltà acquisendo fama ed onori. Se ne ha notizia sino ai primi anni del 1500, cfr.: A. D'ALIA - F. TOMASINI, Ludovico Manin ultimo doge di Venezia, Roma 1940, p. 36.
[6] Il loro inserimento in Friuli fu amichevole e se ne ha testimonianza dalla scritta che fecero scolpire sull'architrave della loro casa a Udine, in via Savorgnan, oggi casa Antonini, in cui si legge: "Sum melior nutrix quam sit Florentia mater". Cfr: E. BARTOLINI - G. BERGAMINI - L. SERENI, Raccontare Udine. Vicende di case e palazzi, Udine, 1983 pp. 250-259; M. BUORA, Guida di Udine. Arte e storia tra vie e piazze, Trieste, 1986, pp. 324-326.
[7] M. MURARO, Passariano e il rococò in Friuli, lezioni di storia dell'arte, Università di Trieste, Udine 1972 p. 5 e segg.
[8] <(...) per l evidente successo del suo operato, devozione che egli dimostrò e sempre incessantemente dimostra procacciando onore e gloria al dogale Dominio, gli si fa grazia, con i suoi eredi, della cittadinanza veneziana per grazia speciale.> Cfr.: M. BARBARO, Arbori dei patrizi veneti, 1743, c. 278 v.
[9] Giovanni VII Dolfin (1657-1699), Dionisio Dolfin (1699-1734), Daniele II Dolfin, cardinale (1734-1762). Nel 1752 sarà Daniele Dolfin a divenire il primo arcivescovo di Udine. Il papa Benedetto XIV il 6 luglio 1751 sopprimeva il Patriarcato di Aquileia e lo divideva nei due Arcivescovadi di Gorizia e di Udine. In quest'ultima sede, creata il 19 gennaio 1752, si insedierà l'arcivescovo Daniele Dolfin, che manterrà il titolo di Patriarca di Aquileia. Cfr.: M. DELLA TORRE, Della chiesa aquilejese e del Patriarcato, in Monografie friulane, Udine 1847, p. 18.
[10] Nel XVI secolo il nome dei Manini del Friuli si accorcia in Manin.
[11] Cui si affianca il motto: "Fortunam virtus vincere sola potest".
[12] Il diploma, che sarà confermato il 21 dicembre 1818 dalla I. R. Commissione araldica di Venezia, così recita per l'aggiunta da porre allo stemma. Cfr. M. BARBARO, c. 278v, c. 279, c. 280; A. D'ALIA, Ludovico Manin &, cit., pp. 42-43 Questo tipo di stemma, completo con Vulcano alla sommità, lo vediamo nel disegno conservato presso il deposito museale di Villa Manin di Passariano (Cat n. 5.13).
[13] Nel diploma di Carlo V il colore descritto è incarnato.
[14] Nella Sala dello Scudo o delle mappe di Palazzo Ducale, Venezia. Così lo descrive il Da Mosto: «... sta lo stemma Manin inquartato: nel I e IV d'oro al leone di rosso coronato del campo rivoltato; nel II e nel III partito A) d'azzurro al serpente alato di verde in palo coronato d'oro; B) d'argento alla fascia d'azzurro. Il serpente fu concesso ai Manin da Carlo V nel 1526, insieme al cimiero rappresentante Vulcano che batte sull'incudine le folgori di Giove, che qui non si vede.» DA MOSTO, I Dogi di Venezia nella vita pubblica e privata, Milano 1960, p. 544; F. GELLINI, Le casate parlamentari della Patria del Friuli, gli antichi stemmi, Udine 1985, p. 49; RICCIOTI BRATTI, I Codici Nobiliari del Museo Correr di Venezia, Roma 1908.
[15] Dorigny Lodovico, esaltazione della croce e stemma dei conti Manin, affresco sopra il finestrone della parete di fondo del coro, dietro l'altar maggiore del Duomo di Udine, cfr. C. SOMEDA DE MARCO, Il duomo &, cit., pp. 337-343, fig. 273 e 279.
[16] Cfr. Cat. n. 1.27
[17] Cfr. Cat. n. 1.24.
[18] Cfr. Cat. n. 4.7
[19] Figlio di Francesco III, il cui busto in stucco sta sullo scalone di villa Manin, a Passariano. La nobiltà del Sacro Romano Impero acquisita da Camillo vale anche per i numerosi fratelli: Francesco III; Marco, comandante dell'esercito britannico presso la corte di Enrico VII d'Inghilterra, che morì combattendo per la Serenissima sotto le mura di Padova nel 1519; Filippo anch'egli valoroso combattente ed Ottaviano, letterato.
[20] Da Valenzio di Valvasson, cfr. P. BOSMIN, alla voce Manin, in Enciclopedia Storica - Nobiliare Italiana, a cura di V. SPRETI, vol. IV, Milano 1928 - 1935, p. 310.
[21] C. RINALDI, Sedegliano - Profilo storico, Udine 1967, p. 46.
[22] V. ZORATTI, Codroipo in tempi lontani, Udine 1975, p. 214; F. VENUTO, La vicenda &, cit., p. 58.
[23] "... come si deduce soprattutto dalle condotte di materiale lapideo, proveniente in special modo da Meduno." F. VENUTO, La vicenda &, cit., p. 60.
[24] Assieme ai fratelli fu investito di "8 carati del feudo giurisdizionale del castello di Polcenigo e Fanna e ville annesse, cui venne unito il titolo di conte. (...) L'ultima investitura dei feudi di Polcenigo e Fanna e di Sedegliano porta la data del 7 settembre 1778 e gli investiti vennero iscritti nel A.L.T. col titolo di conte il 9 maggio 1733 e nel 1795." P. BOSMIN, alla voce ..., cit., p. 310.
[25] A. D'ALIA - F. TOMASINI, Ludovico Manin &, cit., p. 51.
[26] M. MURARO, Passariano &, cit., p. 49.
[27] " & Voglio essere sepolto nella chiesa Maggiore del Duomo di Udine, e sepolto nella mia cappella nuova se in quel tempo sarà fatta, e se no in un deposito, insino suddetta cappella sarà ridotta a perfetione ..." Biblioteca Civica Udine, Archivio Manin, ms. n. 1565.
[28] Il cui progetto, realizzato dall'architetto Domenico Rossi, fu approvato soltanto il 28 marzo 1713. SOMEDA DE MARCO, Il duomo &, cit., p. 134.
[29] Sulla pelle di leone del mausoleo di sinistra può interessare l'epigrafe sulle origini della famiglia Manin: MANINO. DE. MANINIS / VETUSTAE. NOBILITATIS. CLARO / PER. FRANCISCI. EQ. PATRIS / ET. NICOLAI. FILY. / DECORA / CLARISSIMO / QUI / CIVILIUM. FACTIONUM. PERTAESUS / FLORENTIA. AC. RAVENNA / RELICTIS / UTINI. HUMANISSIME. EXCEPTVS. / FAMILIA. CONQUIEVIT / A. S. MCCCXII. POSTUM. AMORE REVIVISCIT. Ed in quello di destra: LUDOVICO / COMITI. DE. MANINIS / QUOD / SUO. AVORVMQ. SPLENDORE / INSIGNIS. / TRADUCTA VENETIAS FAMILIA / COR. ET. CINERES PATRIAE. OPTIME. MERITAE / REDDIDERIT / NEPOTES EX. FRANCISCO. FILIO / NOMINIS. ET. GRATI. ANIMI. HAEREDES. / PONI CVRANT.
[30] Che fu riconsacrato sotto il nome dell'Annunciata dal patriarca Daniele Dolfin il 18 aprile 1735, cfr. C. SOMEDA DE MARCO, Il duomo &, cit., p. 135.
[31] L. PALLADIO, Cronaca della Città di Udine, ms. n. 642, Biblioteca Civica di Udine.
[32] Come si legge scolpito sul sigillo tombale: VIR. NOB. CO. / LODOVICO MANINO / ET SUCCES. / 1659.
[33] A.S.U., Archivio Manin 2/Bs. 177.
[34] «... voglio che il Sig. Lodovico (...) fornisca la Chiesa di Perseriano se io non l'avessi fornita prima di morire come spero e la faci soffittar di pietra viva fregiarsi con tre altari di pietra viva - che provveda di calici, vesti paramenti, lampade e co»ì di ogni altra cosa che li potesse bisognar di cere luminarie e altro...», A.S.V., Testamento Francesco Manin fu Lodovico, Sezione notarile b. 109 - 50.
[35] Come è confermato dalle numerose ricevute conservate nell'Archivio di Stato di Udine, dei pagamenti effettuati dai conti Nicolò ed Antonio agli artisti.
[36] A.S.U., archivio Manin, b.2 492.
[37] F. SCHRODER, Repertorio Genealogico delle famiglie confermate nobili e dei titolati nobili esistenti nelle provincie venete, vol. I, Venezia MDCCCXXX, pp. 476-478.
[38] M. MASSIRONI - G. DISTEFANO, L'ultimo dei Dogi, Venezia 1986, pp. 21-23.
[39] 15 novembre 1752: "Nell intenzione che indefessa io vado prestando a tutte le pubbliche e private esigenze, mi sta principalmente a cuore la pubblica economia"; MASSIRONI, L'ultimo &, cit., p.41.
[40] EAD., L'ultimo &, pp. 48-53.
[41]
Nel verso si legge: SACELLVM HOC / B. V. M. PATROCINII SACRVM /
VETERI DIRVTO / REAEDIF. CVR. COMM. ET DEV. / PIETATE ET OPERE /
EXELL. CO. LVD. MANINI
PRET. BRIX. / IN PATRINVM ELECTI / JO. CARD. MOLINO BRIX. EPIS. / PRIM. LAP.
POSVIT / JO. PET. DELPHINO S. LAVR. PRE. / VNDECIMO KAL. DECEMB. /
MDCCLXII. Cfr.: Cat. n. 5.7.
[42] E' una carica di grande prestigio che durava tutta la vita, come quella del doge, ed erano nove: tre de Supra (della basilica di S. Marco), tre de citra (di qua), tre de ultra (di là del Canal Grande) ed erano senatori a vita senza bisogno di riconferma.
[43] EAD., L'ultimo &, cit., p. 62.
[44] "Dispongo che dai miei eredi e Commissari sieno consegnati Ducati centomila, (...) parte per mantenimento di tanti Pazzi furiosi ed in mancanza di questi di tanti Mentecati; l altra parte nel mantenimento di tanti Ragazzi e Ragazze, che sieno abbandonate, o non possono aver educazione dalle loro famiglie, preferendo sempre i più poveri. Questi saranno trattenuti nel Luogo fino a che sia loro trovato impiego, o collocazione ..." EAD., L'ultimo &, cit., pp. 216-218.
[45] Si tratta dell'ovale titolato "La ricchezza di Venezia" ritrovato e pubblicato da Dario Succi ne "Il giornale dell'arte", n. 100, maggio 1992, p. 5, e l'ovale "La Nobiltà e la Virtù scacciano l'Ignoranza" di Los Angeles.
[46] Album di tredici tavole disegnate che illustrano il progetto, Biblioteca del Museo Correr, Venezia, cl. III 6424; L. OLIVATO, Progetti di Teatri, in Le Venezia possibili, Da Palladio a Le Corbusier, catalogo della Mostra a Venezia maggio - luglio 1985, Milano 1985, pp. 128-1229, cat. 4.2.
[47] T. PIGNATTI, (a cura di), Disegni antichi del Museo Correr di Venezia, catalogo della mostra, Vicenza 1983, p. 188, cat. 674. I Guardi di questa veduta faranno ancora altri schizzi come quello di Francesco Guardi al Metropolitan Museum di New York della Collezione Lehman, che riporta nella dedica a Lodovico Manin la scritta ora SERENISSIMO DOGE felicemente REGNANTE, dunque eseguito dopo il 1789, anno della elezione al dogado, e due anni dopo il primo schizzo inserito nel progetto del teatro.
[48] Presso la Biblioteca Civica di Udine è custodita la "Memoria circa la Deputazione fatta dall'Ecc.mo Senato, nell'incontro del passaggio per li Pubblici Stati del Sommo Pontefice Pio VI di casa Braschi da Cesena." Scritta dallo stesso Lodovico Manin, Mss. 1545, Manin 33, cfr. MASSIRONI, L'ultimo &, cit., p. 73.
[49] EAD., L'ultimo &, cit., p. 74; E. CICOGNA, Delle iscrizioni veneziane, Venezia 1834, vol I, p. 556.
[50] Durante il periodo della dominazione austriaca i Manin ebbero la conferma della nobiltà con il grado di conti dell'I.A.; V. SPRETI, Enciclopedia storica nobiliare italiana, Vol. IV, Bologna 1969, ristampa anastatica, ed. Milano 1928-1935.