L'altare maggiore,
inserito nella profonda cappella dalla volta a crociera, spicca fra i due
altari laterali, per l'importanza del tabernacolo e le tre grandi statue che si stagliano contro le tonalità grigie della
gloria-velario[1], nello sfondo[2].
La loro forte massa
plastica cattura subito l'attenzione dell'osservatore verso l'altare maggiore,
centro spirituale e gravitazionale dell'intera spazialità del tempio e ne
suggerisce l'affinità con il prestigioso modello longheniano della chiesa
della Madonna della Salute a Venezia[3].
Semplice ed elegante la mensa dell'altare, decorata dalle geometriche
composizioni ad intarsi del paliotto, appare come il basamento di una
struttura piramidale che converge verso la figura solenne della Madonna. Posta
sopra il gruppo delle tre absidiole cupolate del tabernacolo diviene il
fulcro ideale, il perno attorno al quale l'artista fa ruotare tutta l'ideazione
iconografica della cappella.
Ai lati, su due plinti, i santi Andrea e
Lodovico. A sinistra, la statua di S. Andrea[4], l'apostolo cui era titolata la precedente
chiesa demolita; a destra, quella di S. Lodovico[5], ritratto in età matura, con la cappa
d'ermellino, il giglio di Francia apposto sul petto, il cordone di terziario
francescano ed il rosario con la medaglia di devozione alla Madonna del
Carmelo[6] legati ai fianchi.
La presenza di questo
santo sull'altar maggiore è chiaramente legata al nome di Lodovico I Manin
(1587-1659), uno dei più importanti personaggi della famiglia, cui va il
merito di aver ottenuto il 3 giugno 1651 dal Maggior Consiglio di Venezia
l'aggregazione alla nobiltà veneziana.
Per la famiglia reale
francese, il nome Luigi divenne ereditario, allo stesso modo Lodovico I Manin
fece obbligo nel suo testamento a tutti i primogeniti di portare il suo nome[7], legando
a quel santo, il nome, la nobiltà, l'interesse per l'esempio francescano e la
devozione per la Madonna del Carmelo.
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La statua della Madonna
dell'altar maggiore non presenta degli attributi iconografici tali da
definirne il nome con esattezza: le dodici stelle che la incoronano, infatti, si
riferiscono all'Immacolata Concezione, mentre il rosario che sostiene nella
mano destra farebbe pensare ad uno dei molti modi di rappresentare la Madonna
del Rosario.
Ritengo, comunque, che
la presenza di San Lodovico, per il suo stretto legame con la Madonna del
Carmelo[8], determini a favore di
questa
l'identità iconografica della Vergine, la cui devozione, tra l'altro,
discende proprio dalla Madonna del Rosario, con la differenza che al posto
della corona del Rosario, porge lo scapolare[9], esplicitando così quella complessa trama
iconografica che ai significati più evidenti accosta una più sottile rete di
parentele e legami simbolici.
Nella Madonna
dell'altare maggiore i movimenti sono bloccati in una turgida monumentalità,
ma ciò, anziché essere un limite, appare il calcolato intento dell'artista
alla ricerca di quella carica espressiva che accende un momento interiore,
trattenuto nella posa solenne, quasi ieratica e sacerdotale, della sua maestà.
Si coglie lo sforzo di formulare un'idea, di bloccarla nel volto pensoso della
Madonna, presaga dei molti dolori, lo sguardo rivolto lontano, e sul braccio
sinistro il Bambino benedicente della "Madonna in Maestà".
Due angeli cerofori
poggiati su delle mensole alle pareti laterali completano l'arredo scultoreo
dell'altare maggiore.
Tutte e cinque le statue mostrano una
stessa maniera di scolpire la pietra, una stessa mano per la gravità della
posa, le superfici
dell'incarnato
e la qualità del panneggio, unico è lo stile che le accomuna, da ciò non
pare condivisibile l'impostazione della Frank che recupera una non ben
precisata assegnazione all'artista Pietro Baratta, per la sola statua di
Sant'Andrea, formulata dalla Tietze[10] nel 1918, e sostiene l'ipotesi che "L'altar
maggiore fu probabilmente modificato attorno al 1730 con l'aggiunta delle
statue di S. Ludovico ( &) e della Vergine"[11].
La paternità di questo insieme scultoreo, in assenza di
qualsiasi documento originale, contratto o pagamento, costituisce un vero problema
attributivo dipanabile solo attraverso il confronto stilistico, reso qui
particolarmente difficile dalle notevoli affinità dei modi scultorei della
pur ristretta cerchia dei probabili autori.
L'altalenare
delle assegnazioni proposte dagli studiosi, che in un primo momento avevano
anche suggerito il nome dello scultore Giuseppe Torretti[12], dà
la misura di questa difficoltà, vale a dire dell'impossibilità di indicare
un'opera di certa assegnazione, attraverso la quale eseguire un confronto che
possa palesemente togliere ogni dubbio sul probabile autore.
In quest'incertezza attributiva, mi orienterei ancor
oggi, così come ebbi a scrivere nel mio studio del 1992, per i modi di Enrico
Merengo[13],
importante scultore tedesco
nell'ambito del fiammingo Giusto Le Court[14],
lasciando però senza risposta la domanda: " i modi sono comunque
attribuibili al lavoro esclusivo e diretto dello stesso Merengo, già vecchio,
oppure dobbiamo considerare consistente l'intervento dei suoi aiuti, in
particolare del nipote Giovanni[15] e
del maestro lavorante Alvise Tagliapietra[16]?".
Anche il Goi[17]
esclude l'assegnazione delle cinque statue al Torretti e parrebbe condividere l'attribuzione
al Merengo[18]. Della stessa opinione
Gilberto Ganzer[19], mentre la Frank sembra ritenere
convincente l'ipotesi dell'attribuzione alla bottega dei Marinali, "cioè
verosimilmente Orazio", legando la datazione alla realizzazione del
programma scultoreo del giardino[20]. Peccato che nel 1730
Orazio Marinali fosse morto oramai da dieci anni[21].
Se anticipiamo l'esecuzione di queste cinque
statue attorno agli anni 1719-21, cioè contemporaneamente all'inizio della
realizzazione dell'apparato scultoreo della chiesa, c'è da chiedersi se ad un
artista del prestigio del Torretti, si potesse commissionare in quell'inizio,
fra i primi lavori, la gloria-velario dell'altar maggiore per far da
sfondo alle statue che venivano scolpite da un altro scultore.
Per queste ragioni, ma soprattutto per i confronti stilistici che di seguito elencherò, ritengo che le statue dovessero essere già presenti in chiesa prima dell'attività del Torretti, cioè prima del 1719-21 e verosimilmente eseguite da uno scultore affermato, quale appunto il Merengo e i suoi aiuti.
Infatti, l'ipotesi
attributiva che appare più convincente dirotta verso questi due lavoranti, il
nipote Giovanni ed Alvise Tagliapietra, buona parte del lavoro scultoreo che,
pur lasciando inconfondibile la mano del maestro, specie nelle parti più significative
delle opere, non palesa quella forza espressiva, quello slancio vitale,
enfatico delle sue opere degli anni precedenti.
Si possono cogliere
così molte affinità con altri lavori di incerta attribuzione al Merengo,
eseguiti quasi tutti in terraferma[22], come l'esempio delle statue dell'altare
dell'oratorio delle Dimesse di Udine (1705-1710), che recentemente vengono
attribuite al Tagliapietra[23], ed anche le altrettanto significative sculture
esterne (1714) della parrocchiale San Leonardo di Pontecasale, che, per una
sigla "MZH", posta sotto la statua del santo titolare, sulla mensola
a sinistra, letta dal Breuing come "Meyring Zuanne Henrico"
(Merengo Giovanni Enrico), potrebbero indicare appunto un lavoro collettivo
dell'anziano maestro con il nipote lavorante, al vecchio 86enne la progettazione
e gli ultimi ritocchi e al nipote la realizzazione manuale[24].
A questo punto ci sono
due importanti considerazioni da fare: la prima è la questione dell'età, non
indifferente per uno scultore, che le precisazioni del Breuing, con il reperimento
dell'atto di nascita, aumentano di ben undici anni rispetto all'età finora presunta.
Così che nel 1708 il Merengo ha 80 anni e questo ci fa capire quanto potesse diventare
importante il lavoro di bottega, specie del nipote Giovanni, come si è visto
per Pontecasale.
La seconda
considerazione è legata alla trasformazione del gusto del tempo, che, a cavallo
dei due secoli, abbandona gli slanci patetici ottimamente interpretati dal
Merengo, a favore delle eleganze e le trasparenze di artisti più giovani di
lui, come il Torretti, ad esempio, che non a caso troveremo qui a Passariano
per la decorazione di tutta intera la cappella.
Considerazioni che
danno il segno al lavoro del Merengo per il periodo che va dal 1703, anno
della sua ultima importante commessa a Venezia del gruppo della Sacra Famiglia
per la cappella Manin agli Scalzi[25], sino al 1723 anno della sua morte. Periodo in
cui sarà escluso dalle grandi commesse veneziane di San Stae, dei Gesuiti, dei
Ss. Giovanni e Paolo e da quella friulana del Duomo di Udine, ma che lo vedrà
comunque ancora attivo, assieme al nipote Giovanni, nella propria bottega dove
risulta che nel 1715 assumesse un garzone di bottega con un contratto di cinque
anni[26].
Per il confronto con le
opere certe dello stesso Merengo, inizierei con quel suo modo di trattare la
materia, di plasmare il marmo quasi fosse creta, una sostanza molle e duttile,
che conferisce all'incarnato, specie quando i soggetti ritratti non sono più
giovani, un che di sfatto, carnoso, molle, quale appare con evidenza nel ritratto
di Carl Loth, nella sacrestia della chiesa di San Luca a Venezia[27], la stessa espressione patetica ed ispirata del
nostro San Lodovico, come in quella dell'angelo di sinistra dell'altare di San
Massimo, nella basilica di Santa Giustina a Padova, commissionato al Merengo
il 14 febbraio 1681[28].
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San Luca Venezia |
Passariano |
Padova |
E'
interessante osservare la maniera in cui modella i volti caratterizzati da un
ovale largo, le sopracciglia arcuate e lisce e l'occhio infossato. Il taglio
della bocca, un po' appuntito il labbro superiore, forte e sporgente quello
inferiore, mentre il mento è un pomo tondo abbastanza accentuato come nel
volto dell'angelo di destra dell'altare di San Giuliano in S. Giustina
a Padova[29], il volto della Madonna di Bassano[30], quella di Pontecasale[31] e la Carità di Nimis[32], confrontati con il volto della nostra Madonna
di Passariano.
Bassano del Grappa |
Passariano |
Padova |
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Pontecasale |
Nimis |
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Passariano |
Dimesse Udine |
Interessante
anche il confronto con un'opera di non sicura attribuzione, appartenente ad un'altra
chiesa friulana, il San Giuseppe dell'altare delle Dimesse di Udine (1705-1710
ca.), attribuito al Tagliapietra dal Guerriero[33] e che appare molto vicino al nostro Sant'Andrea
per la positura simile ed in controparte, di uguale e pesante corporeità, la
stessa gamba in avanti, il panno sul braccio e le pieghe della veste attorno
alla cintura[34].
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Un altro confronto interessante si può fare fra la nostra Madonna e la statua
di sicura assegnazione al Tagliapietra, la Carità del fonte battesimale della
cattedrale di Chioggia (1708)[35]. Veste modellata a scaglie, brevi e fitte, a mo' di cartoccio, segnate da linee spigolose,
le stesse nella cintura, capelli rigati e compatti,
stesso fazzoletto al collo.
Ed anche, a questo punto, si veda il confronto fra il San Lodovico di
Pontecasale ed il San Filippo Neri dell'oratorio delle Dimesse di Udine[36]
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Per quanto concerne la datazione bisogna ricordare il 1691, anno in cui
fu steso il testamento di Francesco IV Manin[37] dove si legge che l'altare non era ancora
edificato: "... e col retrato di deti (crediti) fornisca la Chiesa di Perseriano
se Io non l'havesi fornita prima di morire, come spero, e la faci soffittar di
Pietra viva fregiarsi con tre altari di Pietra viva..." (App. doc.
II), ed il momento in cui il Torretti iniziò a lavorare per la gloria-velario da sistemare dietro
all'altare, cioè verso la fine del 1720 (App. doc. III).
La cappella fu edificata
in un luogo molto prossimo alla precedente chiesa seicentesca, e i lavori
iniziarono immediatamente dopo l'accoglimento patriarcale della richiesta di
riedificazione della chiesa[38], ma occorsero più di trent'anni per il loro
completamento, probabilmente in ragione del fatto che si pensò soltanto in
seguito di trasformare il prolungamento della barchessa nella grande sacrestia,
per la qual ragione furono sospesi i lavori, nell'attesa della congiunzione
dei due edifici. Infatti, la creazione della Piazza Quadrata avvenuta verso la
fine del I decennio del Settecento[39], determinò l'incontro della villa con la
chiesa, la conseguente sua trasformazione in cappella nobiliare e
l'enfatizzazione di quel grande ambiente, parte finale della barchessa, divenuta
sacrestia.
Stabilire, all'interno di questo
periodo, quale sia la data in cui fu eretto l'altar maggiore, e sapere la
ragione percui la parte più importante dell'arredo scultoreo fosse, prima,
affidata ad un artista e poi completata da un altro che la terrà in esclusiva
per tutte le sculture della chiesa e della sacrestia, senza una documentazione
esplicativa, è veramente difficile da dire.
Di molte ipotesi che si
possono formulare ritengo che possa essere più vicina al vero quella che restringe
la datazione di queste cinque opere agli anni a cavallo dei due secoli. Nel
1691, come scrive Francesco IV nel testamento, mancano il soffitto e gli altari,
c'è da supporre che non debba tardare molto l'incarico per la realizzazione
dell'altar maggiore, tra l'altro già disegnato nella "Pianta della Chiesa degli Ecc.mi NN. HH.
Conti Manini nel Loco di
Perseriano nel Friuli.", un'incisione all'acquaforte del progetto
della cappella[40]. Si osservi come sia già chiaramente delineato
l'altar maggiore, con il gran tabernacolo e le tre statue, mentre siano assenti
gli altari laterali[41], che saranno eseguiti dal Torretti a partire
dal 1720[42].
Si può pensare che
negli ultimi anni del secolo fosse dato al Merengo l'incarico per le sculture
dell'altar maggiore, ma la morte di Francesco IV, lo spostamento d'interesse
dei successori[43] verso altri lavori a Venezia e la conseguente
sospensione di quelli a Passariano, abbia in qualche modo reso difficile la
realizzazione di questa commessa.
Inoltre negli ultimi anni
del primo decennio del secolo i Manin incaricano l'architetto Domenico Rossi
per i progetti e la realizzazione di molti dei cantieri che in quel momento
erano in attività, come palazzo Dolfin a Venezia, e la Piazza Quadra a Passariano,
che sarà quest'ultima l'inizio dei
lavori che realizzano l'incontro fra la villa e la chiesa, ma che da anche il
segno del cambiamento di gusto estetico da parte dei Manin. Questo cambiamento
si concreterà, appunto, nel commissionare i lavori di scultura a quel gruppo di
artisti di nuova generazione che accompagnerannno spesso il Rossi, come il
Torretti, il Tarsia, il Baratta, Groppelli, Bonazza ed altri meno noti,
segnando in quest'esclusione il tramonto dell'intensa e lunga parabola
artistica del Merengo.
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[1] E' un'idea decorativa suggerita dai tendaggi con putti creati da Gian Lorenzo Bernini nei palazzi vaticani, ampiamente imitati a Venezia negli stucchi delle sale patrizie e nei drappi marmorei come quelli del monumento ai dogi Valier nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, o quelli del Duomo di Udine.
[2] Sulla targa appesa al drappo che sulla parete di fondo esce dalla corona, si legge: ALTARE PRIVILEG. QUOTID. PERPET.
[3]
Questa che appare una semplice intuizione è in realtà una precisa disposizioni
espressa da Francesco IV Manin (1621-1693) perché la cappella fosse " &in
forma della Salute di Venezia &" cfr. M. FRANK, Virtù e Fortuna &,
cit., pp. 129.
[4]
Fratello maggiore di Pietro, fu martirizzato a Patrasso dal proconsole Egeas,
legato ad una croce decussata. Cfr.
L. RÉAU, Iconographie de l'Art Chrétien,
III, 1, 1958, pp. 76-84.
[5]
Lodovico o Luigi (Poissy 1215) diviene re nel 1226 (Luigi IX) con la reggenza
della madre Bianca di Castiglia, organizza due crociate e muore di peste
davanti a Tunisi nel 1270. E' eletto dai Gesuiti protettore dell'Ordine (25
agosto) ed è spesso confuso con il nipote, San Luigi d'Angiò (19 agosto),
vescovo di Tolosa, anch'egli appartenente all'Ordine di San Francesco ed alla
casa reale di Francia ma comunemente rappresentato nelle vesti di giovane
vescovo con mitria; così infatti lo ritrae Donatello nel bronzo dorato in Santa
Croce a Firenze, con il saio ed a piedi nudi, o Carpaccio nella Cattedrale
dell'Assunta a Capodistria. Cfr.: L.
RÉAU, op. cit., III, 2, 1958, pp. 815-822.
[6] La medaglia che solitamente accompagna lo scapolare dei devoti alla Madonna del Carmelo.
[7] A. D'ALIA F. TOMASINI, Ludovico Manin ultimo doge di Venezia, Roma, 1940, p. 52; Biblioteca Civica di Udine, Archivio Manin, Ms. 1565, Testamento Lodovico Manin del 29 dicembre 1658.
[8] San Lodovico era solitamente posto fra i santi legati alla devozione della Madonna del Carmelo, ne è un esempio la tela attribuita all'artista tizianesco Pace Pace (1595) della chiesa dei Carmini a Venezia, dove è dipinta la consegna dello scapolare da parte della Madonna a San Simone Stock, alla presenza dei santi Luigi, re di Francia, la madre Bianca, regina di Castiglia, e papa Giovanni XXII, autore della bolla sabbatina "che sanziona il privilegio per chi indossa lo scapolare di essere liberati dalle fiamme del Purgatorio il sabato seguente alla morte" (A. NIERO, La chiesa dei Carmini, Venezia 1965, pp. 39 e 40). Anche nel dipinto di Giambattista Tiepolo del Szépmuvészeti Museum di Budapest la Vergine del Carmelo è ritratta con i santi Luigi, Giuseppe, Teresa, Francesco di Sales, Francesco d'Assisi, tutti votati al culto della Madonna e cari ai Gesuiti ed ai Carmelitani.
[9] Si tratta di due pezzetti di stoffa con immagine sacra, nel tempo sempre più ridotti di dimensioni, uniti da due nastri, che erano indossati in modo che un pezzetto poggiasse sul petto e l'altro sul dorso, simulando così quella parte caratteristica dell'abito monacale consistente in una lunga pezza di stoffa, con un'apertura per il passaggio del capo.
[10] Cfr. H. TIETZE, Udine im &,
cit., p. 250.
[11] M. FRANK, Virtù e Fortuna &, cit., p. 132 (112). Ed anche un po' strano parrebbe questo cambiamento tardivo della titolarità della cappella, da Sant'Andrea alla Madonna del Carmelo, se si consideri come tutto il programma iconografico esteso corposamente anche in sacrestia, reciti insistentemente, sin dall'inizio, la centralità del ruolo mariano.
[12] C. SEMENZATO, La scultura veneta del Seicento e del Settecento, Venezia 1966, p. 107; A. RIZZI, La villa Manin di Passariano e le grandi Ville Venete, Bassano del Grappa 1985, p. 28. Giuseppe Torretti nella cappella eseguì di sicuro soltanto la gloria-velario ed i cherubini della parete di fondo, come risulta dalle ricevute di pagamento datate 1720, 1721, e 1722 (App. doc. III, IV, V), cfr. A.S.U. Archivio Manin, B.2 bs.492; cfr. inoltre Biblioteca Comunale V. Joppi di Udine, Arch. Manin 1547, Manin 35, "Giornale di spese fatte dalla famiglia Manin per diverse chiese a Udine ...", c. 87r, pubblicato da M. FRANK, Giuseppe Torretti al servizio dei Manin tra Friuli e Venezia, estratto da MEMORIE STORICHE FOROGIULIESI, Vol. LXVI, Udine 1987, p. 185. In questo Giornale compaiono i primi pagamenti al Torretti per la chiesa di Passariano a partire dal 1721 con la gloria dell'altar maggiore, e non risultano pagamenti registrati a favore di questo scultore per le statue della cappella maggiore.
[13] Heinrich Meyring, nasce a Rheine in Germania il 13 agosto 1628, cfr. R. BREUING, Enrico Meyring 1628-1723, Ein Bildhauer aus Westfalen in Venedig, Rheine 1997, pp. 15-23, muore a Venezia il 11 febbraio 1723, come sta scritto nei registri della parrocchia di San Canciano a Venezia, cfr. EAD., Enrico &, cit., p. 19; le sue prime tracce a Venezia risalagono al 1678 cfr. EAD., Enrico &, cit., pp. 35-36. Dal testamento del Merengo, steso cinque giorni prima di morire, si deduce che egli abitasse nella parrocchia di San Canciano in "casa Westenappel" e non è da escludere che sia stato sepolto nella stessa tomba, cioè nella navata centrale della chiesa di San Canciano. Cfr. G. VIO, Precisazioni sull'altare maggiore nella chiesa del Redentore a Venezia e su Tommaso Rues (e un cenno sui Merengo), in "Arte Veneta", XXXIX, 1985, pp. 207-208. Cfr. R. BREUNING, Enrico..., cit., pp. 64-70.
Giusto Le Court (Ypres 1627 - Venezia 4 ottobre 1679 cfr. A. NIERO, Precisazione e attribuzione per Giusto Le Court, in "Arte Veneta", XLII, 1988, pp. 137-140), fece parte, assieme ad altri artisti, come Tommaso Rues, Melchiorre Barthel, tedeschi, Bernardo Falconi ticinese, di quel gruppo di artisti che rinnovarono la scultura veneziana del Seicento , (C. SEMENZATO, La scultura veneta &, cit., pp. 20-21). Per un aggiornamento, cfr. P. ROSSI, La scultura, in Storia di Venezia - Temi. L'arte. II, Roma 1995, pp. 128-155.
[15] Del nipote Giovanni si sa che lavorò sempre alla bottega dello zio, cfr. G. VIO, Precisazioni sull'altar &, cit., p.208; R. BREUING. Enrico &, cit., pp. 23-25; e risulta iscritto all' Arte dei Tagliapietra nel 1711 come lavorante, cfr. EAD, Enrico &,cit., p. 55.
[16]
Cfr. P. GOI, Scultura del Settecento nel Friuli Venezia Giulia, in Giambattista Tiepolo - Forme e
colori. La pittura del Settecento in Friuli, catalogo della mostra a cura
di G. Bergamini, Milano 1996, p. 99; l'alunnato del Tagliapietra si può
dedurre dalle forti analogie con l'arte del Merengo ed anche dal fatto che
Enrico Merengo fu suo testimone di nozze. La perdita dei registri della
Giustizia Vecchia contenenti gli accordi di garzonato del nono decennio del
Seicento non ci consente una conferma documentale, vedi S. GUERRIERO, Profilo
di Alvise Tagliapietra (1670-1747),
in "Arte Veneta", 1995, pp. 33, 48 (11) (13). Il Tagliapietra
risulta, nei primi anni del secolo, ancora iscritto all'Arte di Talgia piera
(1705) come maestro lavorante, cfr. S. GUERRIERO, Profilo di Alvise &,
cit., p. 34. Anche se già nel 1698 lo vediamo come scultore pagato per un
restauro delle sculture della facciata della chiesa veneziana di San Salvador,
cfr. P. ROSSI, Per gli esordi di Alvise Tagliapietra: una nuova opera,
in Prijateljev Zbornik II, Split 1992, pp. 291-296.
[17] P. GOI, Il Seicento e il Settecento, in G. BERGAMINI, P. GOI, G. PAVANELLO, G. BRUSSICH, La scultura nel Friuli - Venezia Giulia, dal Quattrocento al Novecento, a cura di P. GOI, Fiume Veneto (PN) 1988, vol. II, p. 151, didascalia fig. 17.
[18] Cfr. P. GOI, Scultura del Settecento &, cit., p. 99, nota n.50.
[19] Gilberto Ganzer, in F. VENUTO, Villa Manin e il suo parco. Una secolare vicenda artistica, Udine 1995, p. 11.
[20] M. FRANK, Virtù e Fortuna ..., cit., p.132 (112).
[21] Volendo restare ancora come ipotesi in questa tarda datazione, non si può dimenticare la presenza già dal 1721 dell'artista artefice di quasi tutta l'opera scultorea, della quasi totalità dell'arredo artistico della cappella e della sacrestia, mi riferisco allo scultore Giuseppe Torretti, per affermare che non credo sia facile immaginare che le statue più importanti, cioè quelle dell'altar maggiore, potessero solo quelle essere commissionate ad altri stante la presenza del Torretti, che pur aveva completato le sue opere nella chiesa e nella sacrestia già nel 1726. Né mi pare verosimile che nel 1721 possa essere stata commissionata al Torretti una gloria-velario per far da sfondo ad un altar maggiore che aveva la sola statua di Sant'Andrea: si osservi anche l'incisione-spaccato della Cappella Manin che lascia intravedere l'altar maggiore già previsto con tre statue e sfondo. Cfr. "Locco & de' Nobili &, cit., (Biblioteca Civica di Udine).
[22] Se si esclude l' Angelo custode (1714) dell'omonima Scuola a Venezia, cfr. P. ROSSI, La Scultura, in "Storia di Venezia"-Temi. L'arte, II 1995, p. 154; R. BREUING, Enrico &, cit., pp. 123-125.
[23] S. GUERRIERO, Profilo di Alvise &, cit., pp. 39-40. Attribuzione non condivisa dal Goi, che le assegna sempre al Merengo, cfr: P. GOI, Scultura del Settecento &, cit., pp.99, 105 (52).
[24] Come suggerisce lo stesso Breuing:"Dann Konnte der ganze Zyklus ein Gemeinschaftswerk des Meisters und seines Gesellen und Neffen Giovanni sein, wobei dem uralten 86jahrigen der Entwurf und letzte Retuschen zuzuschreiben waren und dem Neffen die handwerkliche Ausfuhrung.". Tanto per complicare la storia di queste statue di Pontecasale, bisogna aggiungere che la chiesa di cui ornano la facciata non sia dello stesso periodo, ma molto più tarda. Il Breuing suggerisce una disposizione originaria diversa delle statue, in special modo del San Leonardo sopra il timpano del portale d'ingresso, che addirittura assegna ad altro scultore più moderno; cfr.: R. BREUING, Enrico &, cit., pp.114-119.
[25] EAD., Enrico &, cit., pp. 173-183.
[26] EAD., Enrico &, cit., p. 56.
[27] P. ROSSI, Ritratti funebri e commemorativi di Enrico Merengo, in "Venezia Arti", 9, 1994, pp.47-56; R. BREUING, Enrico &, cit., p. 273.
[28] C. SEMENZATO, La scultura veneta &, cit., p. 92; R. BREUING, Enrico &, cit., pp. 184-198.
[29] EAD, Enrico &, cit., pp.184-198; Si confronti anche il busto della Vergine, della Scuola Grande di San Rocco, aggiunto al catalogo dello scultore da Paola Rossi, specie per le labbra e il grosso pomo del mento. P. ROSSI, La scuola grande di San Rocco committente di artisti (Antonio Smeraldi, Enrico Merengo, Antonio Molinari, Giovanni Antonio Fumiani, Ambrogio Bon, Santo Piatti), in "Arte Veneta", XXXIX, 1985, p. 196.
[30] P. ROSSI, Per il catalogo di Enrico Merengo, in "Arte e Documento", 1993 pp. 95-99. R. BREUING, Enrico &, cit., pp. 245-254.
[31] EAD., Enrico &, cit., pp. 114-119.
[32] EAD., Enrico &, cit., pp. 142-153; P. ROSSI, Per il catalogo &, cit., p.98.
[33] S. GUERRIERO, Profilo di Alvise &, cit., pp. 39-40; cfr. P. GOI, Scultura del &, cit., pp. 99, 105 (52), dove scrive: "Ancora irrisolto per mio conto è invece il problema dell'altare delle Dimesse di Udine (1705-1710 ca.) di recente assegnato ad Alvise Tagliapietra con la cui arte mostra indubbie analogie soprattutto per l'andamento decorativo; pur tuttavia non decisive per la risentita volumetria del San Cristoforo, l'insistenza della trapanatura, specie nel San Filippo Neri, la particolare delineazione dell'arcata sopraccigliare riscontrabile nei gruppi delle Pietà merenghiane di Udine e Nimis (da San Silvestro di Venezia)"; ed anche P. GOI, Il Seicento e il Settecento &, cit., p. 239.
[34]
E
quella manina del Bambino affondata nel panno nei modi che si osservano molto
bene nelle nostre opere, vedi l'angelo ceroforo, ed anche, mi si lasci forzare
anche questo confronto, con le mani della figura femminile di sinistra posta
sul portale d'ingresso esterno alla cappella, appartenente ad un gruppo di tre
statue esterne che, a mio parere, reggono bene il confronto attributivo con
lo stile delle statue dell'altar maggiore.
[35] S. GUERRIERO, Profilo del &, cit., pp. 35-38.
[36] Il San Lodovico, come si è detto, è escluso dal Breuing dall'attribuzione al Merengo fra le statue di Pontecasale, ciò non di meno, lo propongo al confronto soltanto per la notevole somiglianza che ravviso con il San Filippo Neri delle Dimesse. R. BREUING, Enrico &, cit., pp. 114-119 e S. GUERRIERO, Profilo del &, cit., pp. 39-40.
[37] In realtà il testamento fu scritto il 4 marzo 1690, mentre il 7 gennaio 1691 è la data in cui fu aggiunto un codicillo che non modifica però il riferimento all'edificazione dei tre altari della chiesa. A.S.V., Testamenti, Atti Giuseppe Bellan, b. 109 n. 50.
[38] L'accoglimento patriarcale alla demolizione data 1686 (App. doc. I) e subito dopo partono i lavori come si deduce dalla visita pastorale del 1687 dove è scritto che la chiesa di Passariano non fu visitata perchè in costruzione, cfr.: V. ZORATTI, Codroipo. Ricordi storici, Udine 1978, p. 248.
[39] Fu nel 1707 che Domenico Rossi fu pagato per il disegno della Piazza Quadrata, cfr. F. VENUTO, La vicenda &, cit., p. 63; M. FRANK, Virtù e Fortuna &, cit, p. 131.
[40] Incisione conservata presso la Biblioteca Civica di Udine in una raccolta di 19 incisioni della villa, denominata Locco dei N.N. H.H. Co. Co. Manin di Persereano. Come si è detto nell'introduzione, quest'incisione fu eseguita prima della realizzazione della cappella per la probabile necessità di avere a disposizione più copie del disegno. Che si tratti del progetto e non di un disegno fatto dopo la costruzione della cappella, lo testimonia l'assenza degli altari laterali, e molti particolari che differiscono dalla realtà, come il disegno delle finestre, della lanterna e dei pinnacoli nella cupola, le statue del timpano e del portale, il disegno degli stucchi all'interno, e la diversa forma della gloria nella cappella maggiore.
[41] Nel disegno del progetto della chiesa la gloria-velario appare come una gloria di cherubini e putti attorno ad una colomba che simboleggia lo Spirito Santo, mentre nella realizzazione del Torretti essa fa da cornice alla statua della Madonna ed è trattenuta da un drappo giallo che scende da una corona.
[42] Questo fatto potrebbe farci pensare all'ipotesi che l'altare maggiore fosse già realizzato in quanto recuperato dalla vecchia chiesa demolita, ma è più verosimile che il disegno mostri più semplicemente il progetto del solo altar maggiore giacché l'altare più importante e gli altari laterali risultavano, nel disegno, occultati dal muro perimetrale. Nel primo caso si verrebbe ad anticipare troppo la datazione che va posta probabilmente a cavallo fra i due secoli.
[43] M. FRANK, Virtù e &, cit., p.130.