La via crucis

Le stazioni della Via Crucis sono illustrate da quattordici incisioni settecentesche fisse alle colonne dell'aula, a partire da quella a sinistra dell'altar maggiore. Sono opere tratte dai disegni della Via Crucis creati espressamente da Luigi Agricola[1], e tradotti nelle lastre calcogra­fiche da tre diversi incisori, probabilmente di una stessa bot­tega: Amadeo Gabrieli[2], il più noto dei tre, Girolamo Bellavitis[3] e Ga­etano Canali[4]. 

Le stampe sono intagliate su rame con la tecnica al bulino asso­ciata all'acquaforte[5].


 

 

 


La Via Crucis di Passariano deve essere stata eseguita nel IX decennio del secolo, considerando l'età degli autori, e probabilmente a Roma, essendo la città di Luigi Agricola che fece i disegni, anche se l'influenza nella realizzazione della tecnica incisoria appare sempre  di bottega veneta. L'arte calcografica  di riproduzione nel Settecento faceva capo, nel Veneto, alla bottega di Giuseppe Wagner[6], a Vene­zia, e a quella dei Remondini, a  Bassano[7].

 Lo stile essenziale, l'esposizione semplice e chiara del racconto, i versi a commento in calce, ci avvertono della influenza della calco­grafia veneta, e di artisti come il Baratti[8] ed il Volpato[9].

Nel margine inferiore si leggono quattro versi settenari che, se­condo il gusto del tempo, venivano posti a commento delle 14 sta­zioni:

                             

 

 

                                I:  GESU' SENTENZIATO A MORTE.

      Gesù a morir condanni

      Senza ragion, Pilato

      Il reo già condannato

      Tu l'hai presente in me.

 

 

 II:  GESU' CARICATO DELLA CROCE.

      Signor dalle tue spalle

      Passi alle mie quel legno:

      Chi di supplicio è degno,

      E' solo il mio fallir.

 

 

III:  GESU' CADE LA PRIMA VOLTA.

      Se al grave peso o Dio, 

      Tu cadi in abbandono.

      Le mie cadute sono

      La perfida cagion.

 

 IV:  GESU' INCONTRA LA MADRE.

      Vede Gesù la Madre

      Le dà un'addio funesto

      Ah! chi provò di questo

      Più barbaro dolor.

 

  V:  GESU' AIUTATO DAL CIRENEO.

      Se al Cireneo la Croce

      Ripugna, o Gesù mio,

      Lascia che almen poss'io

      Quel peso allegerir.


 


 VI:  GESU'  E'  ASCIUGATO  DALLA VERONICA.

      Gesù dal suo bel volto

      Largo sudor distilla;

      Ma questa e quella stilla

      E' sparsa per mio ben.

 

VII:  GESU' CADE LA SECONDA VOLTA.

      Lasso a cader nel Suolo,

      Signor, tu fai ritorno;

      Perché ancor io ritorno,

      Intrepido a peccar.

 

VIII: GESU' CONSOLA LE DONNE.

      Per te in amaro pianto,

      Signor mi sciolgo anch'io;

      Ma questo pianto mio

      Non sia versato in van.

 

 IX:  GESU' CADE LA TERZA VOLTA.

      Di nuovo, o Dio, Tu cadi

      Per languida fiacchezza;

      Ma vuoi, che mia fortezza

      Divenga il tuo languir.

 

  X:  GESU' E' DENUDATO.

      Nudo è Gesù deh! Voi

      Angioli, omai scendete,

      Del vostro Dio correte

      Le membra a ricuoprir.

 

 XI:  GESU' E' CROCEFISSO.

      Se in un infame tronco

      Sei, mio Signor, confitto,

      Il solo mio delitto

      Fu il tuo crocifissor.

 

XII:  GESU' MUORE IN CROCE.

      Fra cento affanni e cento

      Il mio Signor già muore

      Ma s'io ne son l'autore

      Io perchè vivo ancor.

 

XIII: GESU' E' DEPOSTO DI CROCE.

      Come del Figlio accoglie

      Maria la fredda salma,

      Accoglierlo nell'alma

      Potessi anch'io così!

 

XIV:  GESU' E' POSTO NEL SEPOLCRO.

      Quanto t'invidio, o marmo,

      Che il mio Signor rinchiudi!

      L'immenso Dio tu chiudi

      Nel gelido tuo sen.

 

 

 

Gli stucchi

Una parte non secondaria nella creazione di un'ambiente così raf­finato ed elegante di questa cappella, dalle linee architettoniche  chiare ed armoniose, nasce dalla bianca e semplice decorazione a stucco di un artista ispirato all'arte del ticinese[10] Abbondio Stazio[11].

Il fregio plastico di quattro coppie di vittorie adagiate ai pennacchi degli archi gira tutt'attorno e incornicia la cupola della cappella nella sua fascia mediana, punto di raccordo tra lo spazio aereo della volta e quello terreno, serrato nelle colonne dell'ottagono dell'aula.

 

Stemma dei Manin in stucco sopra l'arcone principale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una quieta vitalità permea il movimento di queste otto figure, colte in una brevissima pausa del loro armonioso operare: la vivacità stupita dei volti,  l'attento colloquio degli sguardi, il morbido artico­lare delle braccia.

Al centro dell'arcone maggiore, l'arma incoronata dei nobili Ma­nin, cui corrisponde nella lunetta della controfacciata la scena del Trionfo della Passione. Altri stucchi che decorano i due balconcini interni e le due finestre completano l'arredo plastico della cappella[12].

     Non vi è dubbio che questi lavori sono ispirati agli stucchi dello Stazio, come suggeriscono alcuni confronti con alcune sue opere au­tografe, quale la decorazione del salone di palazzo Albrizzi a Vene­zia, in particolare il grande stemma coronato retto da putti e vittorie, o le grandi figure alate[13] che fan da cornice alle tele del soffitto.


     

 


        Così i cherubini e i putti della sala superiore della Scuola dei Carmini[14], o alcuni particolari della decorazione di palazzo Zenobio[15], a Venezia.  

        Appare evidente, comunque, nell'analisi dell'insieme di questi stucchi della cappella, lo scarto qualitativo che li differenzia dai lavori autografi dello Stazio. Si osservi, soprattutto il Trionfo della Passione della controfacciata dove più forte è la caduta qualitativa, grossolana  l'esecuzione  delle  nuvole,  niente a che vedere con i vapori at mosferici, le impalpabili nuvolaglie della Gloria dello Spirito Santo della Scuola dei Carmini[16].

 

Non è noto l'anno di esecuzione, che si può ipotizzare attorno alla fine del terzo decennio del XVIII secolo, da parte di un artista che, pur non eguagliando lo Stazio, ha saputo mantenere alto lo stile, ar­monizzando con bravura la semplicità delle linee architettoniche e la   eleganza delle forme dei suoi stucchi. 


 


 


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[1] Roma 1750. Ad vocem in THIEME - BECKER, 1907, vol I.

[2] Bassano 1749-1817. Ad vocem in THIEME - BECKER, 1920, vol. XIII, autore di sei stazioni della Via Crucis: la II, III, VIII, X, XIII, e la XIV,  fu scolaro di Giovanni Volpato (1735-1803). Si confronti  G. BERNINI PEZZINI, Giovanni Volpato, un bassanese a Roma, in GIOVANNI VOLPATO  1735-1803, catalogo della mostra a cura di Giorgio Marini, Bassano del Grappa 1988; G. B. BASEGGIO, Della Calcografia in Bassano e dei calcografi bassanesi, in G. J. FERRAZZI, Di Bassano e dei Bassanesi illustri, Bassano 1847, pp.170-175.

[3] Autore di cinque stazioni: la IV, V, VI, IX e la XII. Di Bellavitis si sa soltanto che lavora a Roma (ad vocem in THIEME-BECKER, 1909 vol. III).

[4] Autore di tre stazioni: la I, VII e la XI, lavorò direttamente con Antonio Baratti (Bassano 1724 - 1787) che incise il frontespizio e cinque stazioni della Via Crucis edita dal Wagner nel 1778.

[5] Esistono a Venezia alcuni esempi illustri di Via Crucis incise a stampa come la serie di 15 rami all'acquaforte di Giandomenico Tiepolo (1748-1749) dedicate ad Alvise Cornaro, tratte da dipinti da lui stesso eseguiti per l'Oratorio del Crocifisso della chiesa di S. Polo a Venezia (cfr. A. RIZZI, L'opera grafica dei Tiepolo - Le acqueforti, Venezia 1971). Ma sono, forse, più significative, per illustrare l'attività degli incisori di riproduzione, le stampe tratte dai dipinti della Via  Crucis della chiesa di S. Maria del Giglio di sette pittori fra i quali Zugno, Fontebasso, Diziani e regalata alla chiesa dai nobili Pisani nel 1755 (G. M. PILO, La "Via Crucis" del Wagner, Emporium, gennaio 1958, pp.13-16), ripro­dotta nel 1778-1779, dedicata al patriarca Federico Maria Giovanelli (G. MOSCHINI, Dell'incisione in Venezia, 1824-1835, Venezia 1924, p.122), ed eseguita dalla bottega di Giuseppe Wagner (1706-86) (cfr. DARIO SUCCI, Giuseppe WAGNER, scheda del catalogo della mostra in "Da Carlevarijs ai Tiepolo, Incisori veneti e friulani del Settecento", Mirano 1983, pp. 432-437), di cui una copia acquerellata è a S. Giacomo dall'Orio ed una non acquerellata a S. Zan Degollà (PILO, La "Via Crucis" &, cit., p.15).

 

[6] I legami fra questo editore e Roma sono testimoniati anche dal fatto che una personalità artistica come il Piranesi divenne nel 1744 agente del Wagner, quando aprì in via del Corso a Roma, davanti all'Accademia di Francia, una bottega di stampe che diverrà molto celebre  (D. SUCCI, Giambattista PIRANESI, in Da Carlevarijs ai Tiepolo, Incisori veneti e friulani del Settecento, Mirano 1983, p. 289.

[7] L'attività calcografica nasce con Giovanni Antonio Remondini (1650-1725), si consolida con Giuseppe Remondini (1725-1742) e si espande con Giambattista e Giuseppe Remondini (1742-1797), (cfr. M. INFELISE, I Remondini di Bassano, stampa e industria nel veneto del Settecento, Bassano 1980, pp. 23-36).

[8] Il Baratti fu alla direzione della calcografia Remon­dini ed in seguito collaboratore nel laboratorio del Wagner (D. SUCCI, Antonio BARATTI, in Da Carlevaris ..., op. cit.; p.42). Assieme al Canali realizzò "I Sette Vizii capitali" (G. MOSCHINI, Dell'incisione &, cit., p. 122 e p. 128.) Il Moschini ha indicato inoltre la collaborazione del Canali con  Giuliano Giampiccoli (1703 - 1759), direttore nel 1730 del reparto di incisione in rame e in legno dei Remondini.

[9] Il Volpato apprese l'arte alla bottega dei Remondini da Antonio Baratti nel 1760, quindi fu a Venezia  (1762-1771) dove collaborò con Francesco Bartolozzi (1728-1815) nel suo  laboratorio in S. Maria Formosa, successivamente fu a Roma dove fu inviato dal Wagner per riprodurre gli affreschi di Raffaello delle Logge Vaticane. A Roma, dove morì nel 1803, fondò una scuola di incisione, (cfr.Volpato, catalogo mostra). E' opportuno ricordare inoltre che il Bartolozzi illustrò  nel 1764 per l'editore Albrizzi: "Componimenti poetici per l'ingresso solenne alla dignità di Procuratore di S. Marco per merito di Sua Eccellenza il Signor Lodovico Manin".

[10] G. MARIACHER, Stuccatori ticinesi a Venezia tra la fine del '600 e la metà del '700, in "Arte e Artisti dei Laghi Lombardi", a cura di E. ARSLAN, Como 1964, vol. II, p. 79. 

[11] Abbondio Stazio nasce a Massagno nel Canton Ticino nel 1653 e muore a Venezia nel 1745. Cfr. M. FOGLIATA M.L. SARTOR, L'arte dello stucco a Venezia, Roma 1995, pp.58-66. Lo troviamo, nel 1729, al servizio dei nobili Manin, assieme all'architetto Rossi, al pittore Dorigny ed al Torretti nella decorazione dei soffitti della chiesa dei Gesuiti, a Venezia. E precedentemente anche nel duomo di Udine assieme a Carpoforo Mazzetti - Tencalla (1709-1711), cfr. P. GOI, Scultura &, cit., p.98.

[12] Un ricco serto di foglie e frutta incornicia uno scudo dorato con l'Occhio divino nel balconcino laterale destro, mentre in quello di sinistra, un serto di foglie e fiori incornicia la colomba dello Spirito Santo. Un motivo a conchiglia con testa sulle finestre sopra le porte laterali esterne, dove si distinguono nelle sovrapporte le figurine di due draghi affrontati.

[13] Lo stemma di Passariano, come quello Albrizzi, si modella nelle forme sinuose di foglie e racemi, entrambi incoronati da un identico diadema nobiliare di conte. I putti, paffuti e giocosi, si assomigliano  per l'espressione dei volti ed il largo volo, distinti soltanto da un lieve ma importante scarto qualitativo.

[14] Anche qui troviamo molti punti in comune con i putti reggi-stemma di Passariano: le loro movenze, i capelli raccolti in ciocche allo stesso modo. Si confronti anche la grande corona di foglie e fiori sopra l'altare della Scuola, che è palesemente simile alla decorazione floreale che qui a Passariano circonda la colomba dello Spirito Santo, sopra il balconcino, a sinistra della cappella maggiore.

[15] Vedi il particolare della testa entro conchiglia degli stucchi della finestra sopra la porta laterale destra della cappella, che è un motivo ricorrente nel salone da ballo di palazzo Zenobio di Venezia.

[16] Non si può che convenire con il Goi quando scrive: "Avvertibili sono le desunzioni dallo Stazio nei putti reggi-stemma della cappella, in quelli volteggianti tra i tendaggi secondo uno scherzo di marca berniniana e negli svolazzi nastriformi che accompagnano le acrobazie aeree dell'altra celeste puerizia; semplici desunzioni tuttavia come assicurano l'opacità dello stile per cui va esclusa l'autografia del grande Stazio da taluno affermata senza vere cognizioni di causa."; P. GOI, Il Palazzo Montereale Mantica e l'arte dello stucco in Friuli in G. BELLAVITIS, Palazzo Montereale - Mantica, Pordenone 1987, p. 139.